Dieci anni fa, il 19 aprile 2011, sconfitta dal cancro, se n’é andata Grete Andersen, Waitz da sposata, e proprio il marito Jack ha saputo esprimere lo spirito di chi a lungo aveva avuto al fianco: “Grazie a lei le donne osarono, corsero e conquistarono il mondo della strada”.
Una pioniera, un’iniziatrice che è stata ricordata in queste ore da Erna Solberg, primo ministro norvegese, da Billie Jean King, che dopo lunga battaglia cambiò le sorti del tennis femminile, da Joan Benoit, vincitrice della prima maratona olimpica a Los Angeles ‘84. Seconda, Grete che andò vicina all’accoppiata.
Un anno prima a Helsinki era diventata campionessa mondiale nella prima maratona che assegnava un titolo.
Dopo due record mondiali sui 3000, la pista le sembr stretta: erano gli anni in cui il legittimo desiderio della corsa di lunga e lunghissima durata diventava una lotta di liberazione dai vecchi schemi, quelli che assegnavano alle donne angusti spazi: è del ’72 l’esordio olimpico dei 1500, è dell’88 quello dei 10000.
La vittoria di Grete a New York, nel ’79, è una pietra miliare: chiuse in 2h27.32 facendo a pezzi il suo record mondiale di un anno prima: cinque minuti in meno e prima decisa discesa sotto il muro delle due ore e mezzo. Un segnale per quelle che sarebbero venute dopo di lei: nulla è precluso.
Grete ha vinto due maratone di Londra (dove in 2h24:54 ha firmato i suo record finale) e cinque titoli mondiali di corsa campestre, ma il suo nome sarà per sempre legato a New York: nove vittorie, una serie di tre dal ’78 all’80, cinque consecutive dall’82 all’86 e una nona “sinfonia” nell’88, per chiudere una lunga stagione che assomiglia ad un’era.
Già segnata dal male che l’avrebbe portata a compiere il viaggio da cui nessuno ha mai fatto ritorno, volle dare l’addio proprio su quelle strade, affiancata da Fred Lebow, il demiurgo della gara che ha conquistato il cuore di una città e del mondo: le parche stavano per tagliare anche il filo che legava Fred alla vita.
Se nei pressi dello stadio di Helsinki sono state erette statue a Paavo Nurmi e a Lasse Viren, fuori dal Bislett di Oslo c’è il bronzo che ricorda Grete: corre leggera, a testa alta.