Il tema del doping è per me motivo, da sempre, di grande angoscia, perchè lo ritengo un male gravissimo dello sport in quanto impedisce, a tantissimi atleti che si allenano con talento e passione, di poter competere alla pari con altri.
Mi fa, quindi, piacere, che la leggenda vivente dei 400 ostacoli, Edwin Moses, collabori, da anni, con l’Usada, l’agenzia antidoping statunitense.
Edwin ha un palmares stratosferico, fatto di due ori olimpici, due mondiali, quattro record del mondo fra i quali il 47”13 del 1980 all’Arena di Milano e una incredibile serie di vittorie consecutive, in gara, 122.
Il ragazzo dell’Ohio, ho l’onore di essere nato nel suo stesse mese e nel suo stesso anno, ha presenziato al Festival dello Sport di Trento, organizzato dalla Gazzetta dello Sport. E’ apparso in ottima forma fisica, frutto evidente di una vita ancora molto sportiva.
Si racconta senza problemi, fiero del suo ruolo di Presidente emerito dell’Usada che, tra le varie indagini portate avanti, per anni, è riuscita a demolire un ex mito statunitense quale Lance Armstrong e, a incastrare, una rete legata alla scuderia di mezzofondisti e maratoneti di Alberto Salazar.
Lotta al doping senza tregua
Il tema della lotta al doping lo impegna costantemente e, anche grazie al suo lavoro e alla sperimentazione di nuove tecniche di controllo, ideate da lui, si può dire che siano stati fatti, negli ultimi anni, dei significativi passi avanti in una lotta impari che possa permettere, in un futuro ideale, di competere a tutti ad armi pari.
Qualche aneddoto della sua incredibile carriera
L’esordio di Edwin non fu dei più semplici, con il desiderio di correre, la passione per l’atletica, l’Università di Atlanta, dove studiava Ingegneria e Fisica, senza una propria pista, che lo costringeva ad allenarsi in strutture pubbliche.
Ma il talento era straordinario, quanto la voglia di non sprecare tempo e pensare solamente agli obiettivi da raggiungere: la laurea e i successi sportivi che, però, nemmeno lui poteva immaginare sarebbero stati così epocali.
La prima vittoria olimpica, nel 1976, avvenne praticamente da sconosciuto, a soli 21 anni, e poi fu tutto un susseguirsi di risultati straordinari: vittorie, record, titoli mondiali e olimpici, a cui manca, peraltro, quello del 1980, a Mosca, quando vi fu il boicottaggio degli USA.
L’amore per la fisica
I suoi studi, tra l’altro, con particolare riferimento alla fisica, gli hanno permesso di fare delle analisi approfondite sulle traiettorie da prendere, in funzione della parte di corsia in cui correva. A suo dire, questo, lo ha certamente avvantaggiato rispetto ai suoi avversari che non davano alcuna importanza a questi aspetti.
Il mancato ritorno
Moses si ritirò nel 1988, a 33 anni, ma 15 anni dopo, ebbe l’impulso irrefrenabile di provare, a 48 anni, a qualificarsi per le Olimpiadi di Atene del 2004. Anche una leggenda come lui può cedere ad una tentazione impossibile e, infatti, il tentativo risultò vano.
La grande paura
Da ricordare un drammatico episodio occorso a Edwin, tre anni fa quando, a causa di una brutta caduta in casa, dalle scale, subì un ematoma interno fra il cranio e il cervello.
In tale bruttissima esperienza, Edwin fu aiutato da una fisoterapista italo/americana, a noi ben nota essendo la madre di Andrew Howe, Renè Felton, che lo accompagnò in un programma di riabilitazione, lungo tre mesi, che lo rimise totalmente in forma.
La gara più commovente
Ho trovato un filmato molto toccante della finale Olimpica del 1984, a Los Angeles.
Edwin, davanti al suo pubblico, appare abbastanza nervoso, fa anche una falsa partenza ma poi, scatena le lunghe leve oltre gli ostacoli e trionfa, davanti a uno stadio in delirio e alla moglie che, in tribuna, sin da prima della gara, non riesce a trattenere le lacrime.