Eric Liddell (foto Toronto Star)
Eric Liddell (foto Toronto Star)

Campione, padre esemplare, missionario, in morte persino in odore di martirio: c’è qualcuno che possa incarnare meglio di Eric Liddell un’umanità tendente alla perfezione?

Per anni il suo volto si è sovrapposto a quello di Ian Charleson, l’attore, come lui scozzese, che lo interpretò in “Momenti di gloria” e che ebbe vita breve quasi quanto quella del campione di Parigi ′24: 43 anni Eric, ucciso da un tumore al cervello e dagli stenti ai quali venne sottoposto in un campo di concentramento giapponese non distante da Shanghai.

40 anni, spazzato dall’Aids, Ian mentre a teatro interpretava un Amleto incapace di resistere agli strali della sorte. L’uno e l’altro hanno avuto, a Edimburgo, una fondazione che li ricorda e agisce nel loro nome.

L’influenza cinematografica subita in questi quarant’anni trasforma Liddell in un capo che si piega all’indietro nell’ultimo sforzo che porta verso il traguardo, lo identifica nel sermone sotto la pioggia e nei primi sottili raggi di un sole che buca il cielo di piombo di Edimburgo e che provoca un generale ammainare di ombrelli, lo fissa nella volata in bretelle in una gara sulle 220 yards, in una festa nelle prime propaggini di Highlands.

Fa di Liddell l’uomo del “mai di domenica”, il giorno del Signore. Ma questa è solo una manciata di immagini, non è una vita.

Se Rudyard Kipling era un anglo-indiano, Eric Liddell era uno scoto-cinese: nato a Tientsin, oggi Tianijn, uno dei Porti del Trattato che assicuravano liberi e lucrosi commerci ai taipan britannici, dove Edinburgh Road costituiva un angolo con Dumbarton Street e molte lingue – compreso lo yiddish – si mischiavano in una Babele d’Oriente.

Sono le coordinate per ottenere i primi tratti del personaggio, appartenente ancora ad un’area storica imperiale: non solo i militari, i politici, i fornitori di bordo, i tecnici, i costruttori di ponti e di strade ferrate, ma anche i religiosi come sale e malta di un mondo sparso e connotato di forti elementi di unità.

Ian Morris ha scritto in Pax Britannica che, navigando da Southampton a Sydney, con scali a Malta, Suez, Aden, Bombay e Singapore (o Hong Kong), non sembrava di lasciare la madrepatria. Britannico era l’equipaggio, britannici i fornitori, britannici i giornali che di porto in porto venivano recati a bordo.

I genitori di Eric appartenevano alla Chiesa di Scozia e, proprio come Kipling, Liddell conosce la Gran Bretagna durante l’infanzia, inviato dalla famiglia per studiare in una scuola – Eltham, nel Surrey – frequentata dai figli dei missionari, ma ha dalla sua la sorte benigna di non cadere sotto la sferza – materiale e morale – che costerà allo scrittore anni di sofferenza.

Definito da uno degli insegnanti un “giovane del tutto privo di vanità”, gioca a rugby e a cricket nelle prime squadre della scuola e quando si trasferisce a Edimburgo, la sua vita corre su due strade parallele: studente di scienze nell’antica università e atleta.

Dal ’21 al ’23 colleziona sette caps nel 5 Nazioni giocando all’ala: assorbito dagli impegni in pista e dai preparativi per il ritorno in Cina – e mai visitato dalla vanagloria com’era – tralascerà di pretendere un posto (che avrebbe meritato) nella squadra in blu che nel 1925 otterrà per il Cardo il Grande Slam.

L’utilizzo di Eric in quella posizione è naturale, scandito dalle lancette: irrompe come un turbine impadronendosi del primato scozzese delle 100 yards ( il suo 9″7 resisterà 35 anni) e delle 220 yards (21″6), con qualche esperimento sul quarto di miglio, e mette in fila tre successi nello sprint breve nel Triangular International Contest, un Tre nazioni tra Scozia, Irlanda e Inghilterra.

E’ in una di queste occasioni che viene avvicinato da Sam Mussabini, l’allenatore italo-arabo che sarà alla base del successo di Harold Abrahams e che già nel 1908 aveva seguito il sudafricano Reggie Walker, portandolo alla medaglia d’oro. Sarà Eric a presentare il tecnico all’ambizioso Harold..

Non fu durante la traversata della Manica o arrivando a Parigi che Eric rifiutò di correre i 100 perché “la Domenica è del Signore”.

L’orario delle competizioni era noto da tempo e se la sua scelta produsse malumori ai vertici britannici, non è da prendere per oro colato quel che viene narrato da Hugh Hudson nel film premiato con l’Oscar nell’81: quei colloqui tesi con gli aristocratici al vertice del comitato olimpico britannico non avvennero.

Eric corse i 200 e alle spalle di Jackson Scholz e di Charlie Paddock conquistò la medaglia di bronzo, si schierò al via delle batterie dei 400 e l’11 luglio 1924 corse la finale.

Non resta che riproporre il verbale della gara, corsa allo stadio di Colombes su una pista in terra battuta dello sviluppo di 500 metri: Eric Liddell Gbr 47″6, Horatio Fitch Usa 48″4, Guy Butler Gbr 48″6, David Johnston Can 48″8, Coard Taylor Usa e lo svizzero Joseph Imbach caddero e non finirono la gara.

Stabilito che fosse nuovo record olimpico, sussisteva qualche dubbio si trattasse anche di record mondale: Ted Meredith era stato cronometrato a 47″2/5 (a palmi, 47″4) nove anni prima, allo stadio del college di Harvard, Cambridge, Massachusetts, sulle 440 yards.

Forse per l’importanza dell’evento in cui era stato firmato, il tempo di Liddell non sparì dalla cronologia dei record.

Liddell corse come sapeva, una belva libera da lacci. “Il segreto del mio successo è che corro i primi 200 più veloce che posso poi, per i secondi, con l’aiuto di Dio, corro ancora più veloce”.

Un paio di osservazioni che fanno piombare nel territorio dello scontato: non è facile vincere una medaglia d’oro olimpica, è ancora più arduo conquistarla su una distanza che si conosce poco.

In questo, Liddell rimane un capostipite, avvicinato soltanto da Kip Keino, quando il kenyano decise di tentare l’avventura olimpica, oltre che sugli amati 1500, anche sui 3000 siepi che non aveva corso più di una mezza dozzina di volte prima dell’impresa di Monaco ’72.

I tecnici della squadra americana avevano avvertito i loro cavalli da corsa: “Liddell non può essere preso in seria considerazione: è uno sprinter (Flying Scotsman era il suo soprannome, mutuato dal più veloce dei convogli che univano la stazione londinese di King’s Cross a Edimburgo) e ai 200 finirà per spirare”.

Non spirò. Se per intervento divino o per il possesso di ali ai piedi, questo è lasciato al giudizio e alle opinioni degli spiritualisti e dei materialisti.

Liddell atleta non finisce con il trionfo di Colombes: contribuisce alla vittoria della 4×400 dell’Impero Britannico nel match londinese con gli Usa e l’anno dopo, in mancanza di quello ovale, ottiene lo Slam nei campionati scozzesi vincendo 100, 220, 440 yards e staffetta del miglio.

Anche dopo il ritorno in Cina, continua sporadicamente a misurarsi con atleti di passaggio e nel ’28 metterà in fila atleti francesi e giapponesi selezionati per i Giochi di Amsterdam nel meeting che celebrava la costruzione della ferrovia della Manciuria.

A Tientsin insegna nella scuola anglocinese, fonda l’istituto per poveri e nel ’32 viene nominato ministro della Chiesa di Scozia. Due anni dopo sposerà la canadese Florence MacKenzie (il corteggiamento iniziò al ristorante Kiesling, tuttora esistente) e dal matrimonio nasceranno Patricia, Heather e Maureen.

Nel ’41, con le truppe dell’impero giapponese da tempo alle porte, impone alla moglie e alle figlie di riparare in Canada e si trasferisce nella missione rurale di Shaocang, dove lavora il fratello Rob, medico.

Nel ’43 viene internato nel campo di Weifang: qualcuno ricorda abbia arbitrato partite di calcio, giocate di domenica. Per tutti era lo Zio Eric, pronto a dividere le scarse provviste, a leggere la Bibbia, a tener alto il morale. In uno scambio di prigionieri organizzato da Winston Churchill, lascia il suo posto a una ragazza incinta.

Muore il 21 febbraio 1945, cinque mesi prima della liberazione. “Mi abbandono completamente”, le ultime parole dell’uomo che viene sepolto sotto una croce che porta il suo nome scritto in lucido da scarpe. Ora è sepolto nel Mausoleo dei Martiri a Shijiazhuang.

Quando nel 1980 Allan Wells, originario di Edimburgo, diventò il secondo britannico a conquistare il rango di campione olimpico dei 100, qualcuno gli chiese se avesse corso nel ricordo di Abrahams.

“L’ho fatto per Liddell” rispose l’ingegnere che, per inseguire l’oro, fu costretto dalle ipocrisie vigenti ad abiurare la sua frequentazione con le ultime sacche di sprinter professionisti, specializzati in competizioni su terreni ghiacciati.

Nel 2007, in forza di un referendum, Eric è diventato il più grande atleta nella storia della Scozia. Il Braveheart dello sport.

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