Essere un atleta che scrive degli atleti è un ruolo strano, perché inevitabilmente l’essere atleta si confonde, si mischia con l’essere scrittore, e con la storia raccontata, al punto che ne esce fuori qualcosa di… molto più personale.
Ecco perché stavolta non c’è davvero motivo di trattenersi, perché questa storia, anche se sono di parte, è una storia che sa di favola, e che si deve raccontare proprio come tale.
Il 2019 è stato un anno d’oro per il mezzofondo in Friuli Venezia Giulia. Mezzofondo che da tempo non viveva un simile fermento, e che certamente non aveva mai visto tanti titoli italiani conquistati in una singola annata.
Certo, rispetto al passato sono cambiate molte cose… C’è chi sosterrà che “una volta si correva più forte”, oppure che “una volta era più difficile vincere”, oppure ancora che “una volta non c’erano le scarpe di oggi”, o “la pista di oggi”, perché si correva sulla terra rossa; e via dicendo.
Ma come ben aveva detto Massimo Di Giorgio in una delle ultime interviste rilasciate a questo giornale: paragoni come questi non hanno senso.
E in effetti è proprio vero perché, se tanto mi dà tanto, tutte le innovazioni a cui siamo arrivati, vuoi tecnologiche, vuoi tecniche, vuoi biologiche, oggi sono comunque a disposizione di ognuno.
In altre parole, possono essere cambiati i tempi, ma non è cambiata l’equità dello scontro, che è ciò che rende bella la nostra atletica.
In un panorama di questo tipo, anzi, la competizione è ulteriormente aumentata: vincere oggi, per certi versi, è ancora più difficile. Ecco perché, a maggior ragione, al vincitore devono farsi spettare i giusti onori.
La domanda che però mi sono fatto è questa: a chi spettano davvero gli onori se la maggior parte dei campioni italiani delle discipline di endurance nel 2019 è provenuta dallo stesso posto, dallo stesso contesto regionale?
Già perché se andiamo a vedere cosa è successo l’anno scorso, a livello maschile si è registrato un vero e proprio dominio dei mezzofondisti friulani, che nel corso dei campionati italiani indoor e outdoor sono riusciti in tutte le categorie ad affermarsi sul gradino più alto del podio o, nel peggiore dei casi, nelle immediate vicinanze.
Ha dato il via a questa “età dell’oro” la vittoria di Jacopo De Marchi nei 3000 metri indoor di Ancona. Jacopo, Promessa al secondo anno della Trieste Atletica, portava così a casa il suo primo titolo italiano in carriera, chiudendo in 8’15”54, ed inaugurando inaspettatamente questo straordinario filotto di vittorie dei friulani.
Filotto che è proseguito nel giro di una settimana dopo con un altro battesimo nell’Olimpo dei campioni, stavolta per Niccolò Galimi, dell’Atletica Malignani Libertas Udine. Campionati italiani Allievi, sempre Ancona, ma stavolta 1500 metri: qui Niccolò ha infatti scoperto il suo talento di finisseur emulando la volata del corregionale De Marchi, fatta una settimana prima sullo stesso rettilineo, e confezionando una vittoria quasi profetica.
Un filo rosso, la volata, che accomuna molti di questi atleti. Fra loro non poteva mancare il bellunese Enrico Riccobon, che di friulano in effetti ha ben poco, ma che milita ormai da tre stagioni nell’Atletica Brugnera Friulintagli, altra squadra di punta della regione.
Un palmares di tutto rispetto quello di Enrico, che già si era preso diversi titoli italiani nelle categorie giovanili… ma mancava un pezzo alla collezione: la maglia di campione italiano assoluto. E ancora una volta Ancona è stata l’occasione per regolare i conti, anche in questo caso, stranamente, in volata. E che volata!
Ai tre ori della fase indoor sembrava molto difficile ribattere in egual maniera nel corso delle outdoor, ma se la risposta alla domanda iniziale fosse semplicemente il caso, bè, probabilmente questa storia non avrebbe senso di esser raccontata.
E infatti all’aperto è arrivato addirittura qualcosa di meglio.
Tanto per mettere subito in chiaro le cose, ai campionati italiani Allievi di Agropoli si è aggiunto alla lista delle stelle friulane il triestino Giovanni Silli, anche lui dell’Atletica Malignani Libertas Udine, ma che rispetto ai precedenti nomi preferisce mettersi qualche ostacolo in più in gara: è sui 2000 siepi infatti che Giovanni si riesce ad imporre sbaragliando la concorrenza e facendo segnare un promettente 5’54”51, crono che gli varrà la convocazione agli EYOF, nonché prima maglia azzurra in carriera.
Che Giovanni e Niccolò fossero compagni di allenamento non era una scoperta, e i risultati di questa collaborazione hanno portato bene sì al primo, come si è visto, ma anche al secondo.
Doppiamente al secondo, anzi: ben due infatti sono gli ori intascati da Galimi nella stessa rassegna, sia negli 800 che nei 1500, tanto da permettergli di sfoggiare l’epiteto, da molti affibbiatogli, di “re del mezzofondo”, oltre che la prima maglia azzurra anche per lui agli EYOF.
A fine luglio 2019 sono già 6 gli allori nazionali targati FVG, e stavolta si potrebbe anche ammettere di essere sazi.
Ma poi, agli Assoluti di Bressanone, accade l’imponderabile: ad essi si aggiunge invero l’oro di chi scrive, e qui, a proposito di quello che dicevo all’inizio, il mio essere atleta si mischia con il mio essere narratore di questa storia, e tutto acquisisce improvvisamente un senso diverso, o forse il senso, perché davvero mi rendo conto che se una risposta alla domanda iniziale che mi sono fatto c’è, la riesco a percepire solo in virtù di questa esperienza…
Ma prima di rispondere c’è spazio per un’ultima medaglia, e anche questa è una di quelle medaglie che arriva dopo una strada lunga e tortuosa, in tutti i sensi: è l’oro di Nekagenet Crippa nella mezza maratona (21 km) di Palermo.
Neka, tesserato per la Trieste Atletica, e il cui cognome è tutto una garanzia, è l’ultimo squillo di questo 2019 trionfale, e uno squillo che dura un’ora, cinque minuti e quindici secondi (1h05’15”). Non come i famosi “92 minuti di applausi”, ma il senso è assolutamente lo stesso.
Al termine di questa carrellata di successi rimane però la domanda di partenza: come è stato possibile tutto questo? Cosa ha fatto sì che una piccola regione come il Friuli Venezia Giulia riuscisse a portare tanti atleti sul tetto d’Italia? Qual è il segreto, in altre parole?
Come accennavo poco sopra, la risposta a questa domanda non può che essere personale, e per personale intendo che è mia, che è la mia risposta. È anche vero però che si tratta di una risposta, in qualche modo, qualificata, perché proviene da chi, oltre a scrivere questa storia, l’ha vissuta in prima persona.
Ebbene, forse è molto più difficile scriverlo che vederlo con i propri occhi, ma tante volte abbiamo solo bisogno di crederci. Di credere cosa? Di credere che sia possibile arrivare lì dove desideriamo arrivare, che sia quel gradino più alto del podio, che sia su quell’aereo che ci porta a viaggiare lontano, per gareggiare in altri mondi, con una divisa azzurra, che sia semplicemente per migliorare noi stessi.
Noi ci siamo riusciti perché abbiamo visto gli altri riuscirci, e abbiamo deciso di crederci. E quando ci siamo accorti che questi “altri” erano gli stessi che vediamo di solito ad allenamento, in una gara regionale, a scuola, nella vita di tutti i giorni, ci abbiamo creduto ancora di più.
Ma non per una logica sdegnosa del tipo “se ce l’ha fatta lui ce la POSSO fare anche io”: la differenza è tutta qui.
“Se ce l’ha fatta lui, DEVO/VOGLIO farcela anche io”, ecco la chiave: la volontà, che non è una volontà a parole, ma un crederci silenzioso, che si misura con i fatti. E più abbiamo visto i nostri compagni crederci, più abbiamo scoperto che potevamo crederci anche noi.