Jacopo De Marchi - Sebastiano Parolini (foto archivio)
Jacopo De Marchi - Sebastiano Parolini (foto archivio)

“In un mondo di Yeman e Yoghi… loro sono Jacopo De Marchi e Sebastiano Parolini”.

Fa più o meno così ‘Ringo Starr’, la famosa canzone dei ‘Pinguini Tattici Nucleari’ che, oltre a prestarsi bene per descrivere questa storia, rappresenta uno dei pezzi preferiti dei suoi due protagonisti.

Il motivo è semplice, e basta fare riferimento al testo della canzone, quello vero stavolta, per rendersene conto: pensa ai Beatles, chi ti viene in mente per primo?

C’è chi risponde John Lennon e Paul McCartney, e chi mente. Ecco, questa canzone invece non solo è dedicata a Ringo Starr (e, anche se non citato, George Harrison), ma a tutti quelli che riescono a dire la loro, nella vita come nello sport, pur rimanendo più in disparte, in una zona del palcoscenico meno illuminata dai riflettori.

È proprio il caso di Jacopo e Sebastiano, avversari, compagni di squadra in nazionale, ma soprattutto amici, che nel panorama del mezzofondo italiano, fra star del calibro di Yeman Crippa e Yohannes Chiappinelli, sono riusciti insieme a completare la sinfonia portoghese che l’8 dicembre 2019 si è tinta d’argento agli Europei di cross.

Un’impresa corale, che oltre a loro ha visto al via della 10 km Under 23 anche Pasquale Selvarolo, Riccardo Mugnosso, Sergiy Polikarpenko e lo stesso Yoghi Chiappinelli, tutti a lottare per portare punti alla classifica a squadre (in cui si teneva conto dei primi tre migliori piazzamenti per ogni formazione).

Sorprendente il risultato finale, e non tanto, o non solo, per l’apporto del team leader Chiappinelli, che regala all’Italia un quinto posto per lui, verrebbe da dire, “ordinario”, quanto per la determinazione dei compagni dalle retrovie, dalla sala macchine.

Settimo infatti si presenta Jacopo al traguardo, al culmine di una volata mozzafiato; diciassettesimo invece il compagno Sebastiano, anche lui lottatore fino all’ultimo centimetro. Tre italiani fra i primi 20: è argento Italia.

Avevamo fatto tutti i calcoli del caso il giorno prima della gara:”, racconta Sebastiano, “il podio a squadre era un obiettivo fin troppo proibitivo contro corazzate come Francia, Spagna, Germania e Gran Bretagna. Alla meglio potevamo puntare a un quarto posto”.

E una qualsiasi medaglia non toccava nemmeno i pensieri del compagno Jacopo, che in testa aveva solo una cosa: “la voglia di rivalsa, perché dopo Tilburg (Europei cross 2018) non avrei mai potuto accettare un altro fallimento. In questo senso, avevo davvero tutto da perdere, ma dall’altro lato sapevo di stare molto bene: le gare di qualificazione me lo avevano confermato, e io ero determinato più che mai a dimostrare il mio valore”.

Due diverse consapevolezze, un percorso comune. Già perché Jacopo e Sebastiano nel loro avvicinamento a Lisbona 2019 non solo si sono allenati spesso insieme, a discapito della distanza (il primo è friulano, il secondo lombardo), ma hanno approfittato anche delle molteplici esperienze fatte insieme negli anni, fra raduni e nazionali, per consolidare la loro amicizia.

Un’amicizia che in gara si vede – e si è vista – tutta.

È stata una gara a coppie: quando l’uno era in difficoltà, l’altro subito gli dava una mano a tirare, e così uno dopo l’altro ci siamo messi dietro i vari gruppetti che ci stavano davanti”, continua Sebastiano, che ammette di aver provato una sensazione strana scoprendosi apripista della squadra nei primi giri: “Non vedevo né Jacopo né Yohannes: a quel punto, non avendo riferimenti, mi è passato per la testa per un attimo che quel giorno dovessi prendermi io una responsabilità in più”.

Ma dov’era finito Yoghi? “Questa domanda ce la siamo fatta quasi telepaticamente io e Sebastiano durante la gara, e pure dopo che Yohannes ci è sfilato davanti c’è stato subito un incontro di intenti fra noi: che facciamo, mica lo lasciamo andare via da solo, no?”.

Assolutamente no. E da lì è iniziata una cavalcata da favola, quella che nessuno si aspettava.

Ma guai a pensare di avercela già fatta; Jacopo lo sa bene: “Queste sono gare di sopravvivenza, e sopravvive sì chi ha distribuito meglio le energie, ma soprattutto chi è più lucido di testa. Io lo ero, al punto che verso gli ultimi chilometri sono riuscito a lasciarmi andare, ad azzerare i pensieri e a farmi trascinare da me stesso: è stata un’azione direi quasi istintiva”.

L’idea che stessimo correndo la gara della vita e che potessimo davvero puntare all’impresa non mi toccò mai. Ho pensato unicamente a viaggiare leggero di testa, specie nei primi giri, perché sapevo che se avessi semplicemente corso forte, poi il resto sarebbe venuto da sé”, conferma Sebastiano.

E così è stato. L’ultimo giro di Jacopo ne è la limpida dimostrazione: una volata che sa di fame, di voglia, che sa di quella stessa rivalsa tanto cercata e finalmente lì, a portata… di gambe.

Ogni avversario superato era uno stimolo ulteriore che mi dava carica, a maggior ragione vedendo che la top 10 era lì davanti a me”.

Poco più indietro Sebastiano se la vedeva con la pattuglia tedesca al completo: “Quando mi hanno superato in blocco ho temuto seriamente che ogni nostra, seppur minima, velleità di medaglia fosse perduta, ma il tifo dei nostri dall’esterno, che continuavano a urlarci che eravamo in zona podio, mi ha in qualche modo dato l’energia per difendere ogni centimetro dagli assalti degli inseguitori”.

E il più sorpreso, al traguardo, è proprio Sebastiano: “Jacopo mi è venuto incontro esultando: diceva che eravamo secondi. Ho pensato che stesse semplicemente dando di matto”.

E invece, di lì a poco, entrambi sono su quel podio, con quella medaglia al collo. È un sogno. Il sogno. Tanto fuori portata da non esser nemmeno preso in considerazione, eppure ora così reale, tangibile.

È stato come togliersi un gigantesco peso dalla schiena:”, rivela Jacopo, “dopo tanti anni di fatiche, ripagati da piazzamenti che non mi rispecchiavano, o da sventure come la scarpa persa a Tilburg, finalmente ero riuscito a dimostrare con i fatti il mio valore. A me stesso prima che agli altri, perché io l’avevo sempre saputo che potevo fare bene, che ero di più, ma le parole non mi sono mai bastate”.

Una gioia diversa invece quella di Sebastiano, non tanto, o non solo, per la medaglia in sé: “Quando la sera prima di ritornare in patria il mio compagno di staffetta Sergiy mi ha ringraziato per avergli fatto vincere quell’argento a squadre mi sono sentito orgoglioso. La consapevolezza di aver dato un contributo importante per il successo di tutti è la medaglia più preziosa che mi sono portato a casa da Lisbona”.

Due ragazzi con la testa sulle spalle, Jacopo e Sebastiano, ma soprattutto due validissimi atleti. Con un inizio di stagione così il loro terzo anno nella categoria Promesse sembrava destinato alla grande svolta, quella che ti porta finalmente sotto i riflettori principali del palcoscenico, dalla batteria di Ringo, al microfono di John e Paul. Ma questo 2020 sta avendo altri progetti.

La maturità si vede però nei momenti difficili, quando tutto ci appare sbagliato, insensato, incapace di insegnarci qualcosa.

E di maturità in questo caso ce n’è da vendere. “I Giochi del Mediterraneo erano uno dei miei obiettivi di quest’anno”, ammette Sebastiano, “e il rammarico di non poterli disputare c’è tutto. Tuttavia non mi piango addosso e continuo ad allenarmi, perché l’esperienza mi ha insegnato che io un determinato crono ce l’ho nelle gambe a prescindere dal fatto di gareggiare o meno. Se non potrò esprimerlo quest’anno, sarò sicuramente pronto a farlo il prossimo anno”.

Non è da meno Jacopo, nelle cui parole è impossibile non scorgere un messaggio di speranza per tutti gli atleti, specie quelli che come lui e Sebastiano nutrivano per questa stagione particolari ambizioni:

Quest’anno doveva essere l’anno del mio salto di qualità, l’anno in cui provare a salire su quel ‘treno che passa una volta’, e Lisbona mi aveva confermato che avrei potuto farcela, con quella fame, con quella consapevolezza.

Ci siamo fermati tutti, è vero, ma insieme a noi si sono fermati anche i treni che stavamo inseguendo: quando tutto tornerà alla normalità, sono sicuro che avremo ancora la possibilità di inseguirli. E magari anche di salirci, chi lo sa”.

E noi, insieme a loro, ci crederemo.

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