Inizia oggi, 13 aprile, sul canale a pagamento di Netflix il docufilm ispirato alla vicenda del marciatore Alex Schwazer che la giustizia sportiva, l’unica autorizzata a giudicare in merito alle violazioni dei regolamenti in merito all’assunzione di sostanze dopanti, ha condannato in due occasioni distinte, complessivamente a 11 anni e 9 mesi di squalifica per doping.
Come un atleta, lui stesso si definisce ancora tale, con questo carico addosso possa essere diventato una vittima da celebrare e consolare nei contesti più popolari quali, uno su tutti addirittura il Festival di Sanremo, sarà per me sempre un mistero che però trae il presupposto dal fatto che gli è consentito di presentarsi in qualsiasi trasmissione televisiva a raccontare la sua personale verità, che non è mai quella oggettiva che emerge dai documenti ufficiali, come l’altra sera quando ha fatto un monologo di 2 minuti nella nota trasmissione delle “Iene” dove ha affermato, tra la solita teoria dell’ingiustizia subita e del complotto, di essere stato totalmente scagionato dalle accuse di doping da un Tribunale italiano.
Questa è solo una parziale verità, peraltro di nessun valore da un punto di vista sportivo che è l’unico che conta, soprattutto a poche settimane dalla definitiva chiusura delle indagini preliminari sulla possibilità ipotizzata due anni prima, dal Giudice che aveva deciso di non rinviare a giudizio penale Schwazer per frode sportiva susseguente alla condanna sportiva per doping, che le provette con le urine incriminate del marciatore potessero essere state manipolate.
In realtà il GIP Walter Pelino, sulla base di sue considerazioni, aveva preso la decisione del non rinvio a giudizio penale motivandola con queste parole estrapolate dal decreto originario del febbraio 2021: “E’ stato accertato con alto grado di credibilità razionale che i campioni d’urina prelevati ad Alex Schwazer l’1.01.2016 siano stati alterati allo scopo di farli risultare positivi e, dunque, di ottenere la squalifica ed il discredito dell’atleta come pure del suo allenatore Sandro Donati.”
In pratica l’unica reale verità oggettiva è che, secondo il sia pur autorevolissimo parere di un magistrato, ci fosse un alto grado di credibilità razionale che potesse essere stata manipolata la provetta delle urine e, questa sua convinzione, l’ha fatto desistere dalla possibilità del rinvio a giudizio penale, ma adesso un altro Giudice ha di fatto definita tale ipotesi di credibilità razionale senza un fondamento concreto.
La credibilità razionale, scaturita dalle riflessioni del Giudice Pelino, è però bastata due anni fa a scatenare una campagna mediatica a favore dell’atleta, sulla base di pure emozioni, senza che quasi nessuno si fosse mai preoccupato di andare a guardarsi i punti chiavi dell’indagine preliminare, limitandosi solo, nel migliore delle ipotesi, a leggere la conclusione finale interpretata poi come un’assoluzione definitiva.
Adesso, ancora una volta, dopo aver riservato ben poche righe alla fondamentale archiviazione di un paio di settimane fa ad opera dello stesso Tribunale di Bolzano, che ha definitivamente escluso la possibilità che le provette in questione potessero essere state manipolate, si ritorna per motivi commerciali legati al lancio del docufilm su Netflix, a dare per scontata una verità che è solo nella testa di chi l’ha costruita, e che è certamente perfetta per la sceneggiatura di una serie TV, sia pur presentata come un documento che voglia evidenziare la realtà dei fatti, ed invece è semplicemente una fiction nel senso più comunemente attribuito al termine, di narrativa romanzata.
E allora, consapevole delle poche speranze che io possa avere di venir attentamente seguito sull’argomento vista la mia nota posizione di assoluta fiducia nella sentenza sportiva, solo ed esclusivamente per una forma di estremo rispetto riguardo ai tantissimi atleti e atlete che ogni giorno buttano anima e cuore nella loro passione pulita per l’atletica, senza quasi mai avere la minima visibilità, voglio invitare alla lettura e all’ascolto di chi ha provato, per lo stesso rispetto che ho io del mondo dell’atletica, a raccontare la realtà oggettiva dei fatti.
Roberto De Benedittis, romano di 58 anni di cui 46 passati nel mondo dell’atletica, è certamente persona che non ha nessun interesse particolare in questa triste vicenda se non quella di difendere lo sport pulito che tanto ama.
Roberto è stato Presidente di due società, ACSI Campidoglio (fino al 2013) e ACSI Italia, Direttore Generale di Vivicittà e della Roma-Ostia, ideatore e organizzatore dell’Appia Run, una gara di 14 chilometri che ogni anno ospita oltre 5.000 partecipanti, tra competitivi e che vedrà il suo svolgimento annuale proprio tra pochi giorni, il 16 aprile prossimo.
Dal 2017 è anche coordinatore della Rome Half Marathon Via Pacis e ha ideato, promosso e sostenuto numerosi progetti con tanti incarichi portati avanti quale consulente, redattore, addetto stampa di riviste e manifestazioni.
Un dirigente e organizzatore sportivo che non ama esporsi, ma non sopporta le ingiustizie. e solo per i suoi principi e i suoi ideali ha voluto scrivere due anni fa, nel pieno della campagna mediatica a favore di Schwazer, un piccolo libricino riassuntivo di quanto realmente accaduto e ieri sera, ricordando la sua stesura che chi vorrà potrà scaricare cliccando sul link sotto, ha espresso chiaramente il suo punto di vista oggettivo nella trasmissione curata da Christian Marchetti andata in onda sulla Web TV di Sport2u e di cui, sotto il link del libro, potrete visionare la registrazione.
Il libro di Roberto De Benedittis
L’intervista a Roberto De Benedittis su Sport2u