La notizia è arrivata senza troppi clamori, apparsa sul suo sito personale e non riportata subito dalle agenzie di stampa mondiali, quasi fosse ritenuta come una fake, ma invece purtroppo uno dei grandi miti dell’atletica mondiale di tutti tempi, Dick Fosbury, se ne è andato all’età di 76 anni a causa della ricaduta per un linfoma che l’aveva colpito qualche anno fa.
Nell’ottobre del 2021 Fosbury, inventore della moderna tecnica del salto in alto, fu ospite in Italia di una importante manifestazione organizzata dal più importante quotidiano sportivo italiano e crediamo, che il miglior modo per ricordarlo, sia riprendere l’articolo che scrisse per noi allora, Giorgio Cimbrico, in cui è mirabilmente riassunta l’essenza della sua grandezza.
Mai come quest’anno i 4 giorni del Festival dello Sport organizzati, come ogni anno a Trento, dalla Gazzetta dello Sport, sono stati la celebrazione dell’Atletica Italiana dopo i trionfi olimpici e, per una delle medaglie d’oro azzurre, Gianmarco Tamberi, c’è stata una sorpresa particolare grazie alla presenza dei due monumenti della storia mondiale del salto in alto, il primatista del mondo con 2,45, il cubano Javier Sotomayor, ma soprattutto lo statunitense Dick Fosbury, l’inventore del salto moderno e oro olimpico a Città del Messico 1968, l’unico atleta al mondo a cui di fatto è titolata una specialità dell’atletica.
Oggi Dick è un uomo di 74 anni in buona forma che, dopo aver svolto per tantissimi anni la professione di ingegnere a fine carriera agonistica, si diverte ancora ad andare in giro per il modo a raccontare delle sue imprese atletiche.
Da più di quarant’anni abita nell’Idaho non lontano da dove, a Ketchum, si è tolto la vita ed è sepolto Ernest Hemingway, ma il luogo di nascita è Portland, Oregon, che dopo aver dato al mondo John Reed – “I dieci giorni che sconvolsero il mondo” cronaca in diretta della Rivoluzione d’Ottobre – ha saputo esprimere un altro spirito libero.
Per citare un titolo di un altro uomo che amava la libertà, e ovviamente odiava la tirannide, Bertolt Brecht, Dick è l’eccezione diventata regola: dopo Messico ’68 qualcuno disse e scrisse che quello stile si sarebbe esaurito con il suo inventore (pessimo profeta, disastroso scenarista) e appena quattro anni dopo, a Monaco di Baviera, 28 dei 40 saltatori che si presentarono alle qualificazioni adottavano quel modo di saltare.
Il primo canto del cigno del ventrale venne offerto da Yuri Tarmak, medaglia d’oro in quell’occasione. L’ultimo, sei anni dopo, da Volodja Yashchenko.
Fosbury è quel che Picasso è stato per l’arte, James Joyce per la letteratura: uno che ha cambiato le regole in corsa. O meglio, staccandosi dal suolo dopo una rincorsa in curva, l’offerta della schiena all’asticella, tutto a una velocità impensabile per i potenti adepti di quello che in America veniva etichettato “straddle”.
Tutto cominciò alla high school, il liceo, di Medford, Oregon: il giovane e ossuto Dick era un disastro e anche la modesta quota di 5 piedi (1,53) che costituiva una sorta di minimo per prendere parte alle gare scolastiche costituiva per lui un ostacolo difficile da superare.
Che l’invenzione sia tutta farina del suo sacco, non è certo: infaticabili ricercatori hanno scovato un filmato risalente al 24 marzo 1963 in cui un giovanotto del Montana, Bruce Quande salta con quello stile. Potrebbe anche trattarsi di un’invenzione che ha subito un processo di sviluppo parallelo: è capitato anche per faccende più importanti.
In ogni caso, Dick affina il gesto e migliora: con 1,91 firma il nuovo record della Medford e con 1,97 è secondo nelle gare statali. Il Medford Mail Tribune titola “Fosbury Flops Over Bar”.
È fatta: è nato il Fosbury Flop. Il cronista si spinge anche più in là: “Fosbury assomiglia a un pesce che salta dall’acqua e cade nella vostra barca”. La realtà è che quando Dick ricade, teme di lasciarci l’integrità fisica.
Per fortuna, nel periodo della nascita e dello sviluppo del flop, le zone di atterraggio stanno cambiando: i trucioli di legno o i ritagli di gomma stanno lasciando spazio ai sacconi alti una yard. Per chi arriva di schiena, perfetti, un paradiso.
Quando si trasferisce a Corvallis, alla Oregon State University per studiare (sul serio) ingegneria civile, Dick trova un allenatore dal cognome importante, Berny Wagner. Vuole che torni allo straddle e lui risponde con 2,08, nuovo record dell’ateneo. “Questo è abbastanza” dice Wagner e si mette a filmarlo e a insegnare la nuova tecnica agli altri allievi.
Continua a salire e nel ’68 diventa un volto: Track and Field News gli dedica la copertina dopo che a Knoxville ha conquistato il titolo Ncaa con 2,20.
Il bis è ai Trials di Los Angeles: con 2,16 regola il campo degli avversari ma l’accoppiata non gli assicura ancora il viaggio olimpico in Messico. “Si gareggerà a più di 2.000 metri di altitudine: necessaria una verifica in condizioni simili a quello dei Giochi”, decidono i selezionatori e così, un mese prima, si va a Souh Lake Tahoe dove John Carlos corre in 19″7 e Lee Evans in 44″.
La gara di salto è più umana e rovente: la prima prova a 2,21 promuove Dick, Ed Caruthers (che a Tokyo, ottavo, aveva assistito al trionfo di Valeri Brumel) e Reynaldo Brown. John Hartfield, che sino alla misura precedente, aveva guidato la gara, rimane a casa.
Il 20 ottobre è il giorno: tutti ad aspettare quel che combinerà il “gambero”, quello che salta la contrario.
E’ presto detto: Fosbury non fa flop, il contrario. Tutti i salti alla prima, meno 2,24 che arriva alla terza: record olimpico e record americano.
Caruthers è secondo con 2,22, Valentin Gavrilov terzo con 2,20, Giacomo Crosa sesto con 2,14. Il divino Valeri non c’è. I tre assalti contro 2,29, per ritoccare una quota al tempo ritenuta astrale, sono infruttuosi, ma Dick ha collezionato abbastanza gloria e ha scritto il suo Sessantotto, anticipando di dieci mesi il passo lunare di Neil Armstrong.
Qualche anno fa, dopo aver superato l’asticella dei 60 anni, Fosbury è stato colpito da un linfoma alle vertebre. Ne è uscito, atterrando sui morbidi sacconi della salute ritrovata.