
Il 2019 dell’Atletica Italiana può sicuramente definirsi un anno di reale inversione di tendenza, per quanto riguarda i risultati e, certamente, uno degli artefici di tale cambiamento è stato lui, Davide Re autentico aristocratico del nostro sport.
Lo so, è il solito gioco di parole legato al suo cognome ma, di fatto, Davide ha realmente dei modi estremamente nobili nel muoversi e nel parlare, il tutto con dei tratti fisici che, nella mia immaginazione, potrebbero essere realmente associati a quelli di un giovane Re, un Re Artu giovane per intenderci e, se fossi un regista, lo terrei in considerazione per un eventuale casting.
In ogni caso, un ragazzo di un’educazione straordinaria che, pur tra i suoi mille impegni di questo periodo, si è reso subito disponibile a raccontarmi un po’ della sua vita agonistica.
Davide i complimenti per il tuo fantastico anno te li ho già fatti, di persona, varie volte. Cerchiamo di capire, però, come sei arrivato a questi risultati, perché nella tua carriera non tutto è andato sempre bene.
La svolta è stata certamente il tuo trasferimento a Rieti, a fine del 2016, quando sei approdato alla corte di Maria Chiara Milardi. Cosa era successo prima?
Ho iniziato a fare Atletica da ragazzino, utilizzandola all’inizio come allenamento primaverile/estivo per le mie gare di Sci che, allora, era il mio sport principale.
Dopo alcune vicissitudini, infortuni importanti e un paio di anni di quasi totale fermo, tra i 16 e i 18 anni, all’ottenimento della maturità, presso lo ski-college di Limone Piemonte, mi sono trasferito a Torino, iscritto all’Università di Medicina e cominciato a fare Atletica in maniera continua e definitiva.
Mi sembra giusto ricordare però, che a 16 anni (all’epoca più o meno della foto in copertina), partecipasti a Bressanone a un mondiale allievi sui 400 metri, uscendo in semifinale con 50″63 e che, sempre nello stesso anno, il 2009, ottenesti un prestigioso bronzo alle Gymnasiadi, proprio di Doha, con 48″27.
Non male per uno che preparava solo le gare invernali di sci?
Ma si, correre mi è sempre piaciuto tantissimo così come ogni tipo di competizione ma poi, come ti ho detto, sono sopravvenuti un po’ di problemi fisici che mi hanno fermato per molto tempo e mi hanno fatto riflettere su tante cose, tra cui quella che mi sarebbe piaciuto studiare, un giorno, le cause per cui avvengono determinate problematiche al nostro corpo.
E quindi sei diventato uno studente di Medicina?
Infatti, una materia che mi piace molto ma che, purtroppo, da quando mi sono trasferito a Rieti, sto un po’ trascurando, pur essendo consapevole del mio desiderio che rappresenti il futuro, una volta finita la carriera di Atleta.
Sperando che questo avvenga il più tardi possibile, torniamo agli anni di Torino, più o meno dal 2013 al 2016. Chi è stato il tuo allenatore, in quel periodo?
In realtà sono stati due e, oltretutto, a inizio 2014 ho anche fatto un periodo di training, negli States, con Loren Seagrave. In Italia, per circa tre anni, sono stato seguito da Luigi Vallet, padre di Edoardo ex 400metrista e poi, nell’ultimo anno a Torino, da Enrico Maffei.
Guardando i tuoi risultati di quegli anni, si può dire che i migliori siano arrivati certamente nel 2014, quando hai sfiorato la soglia dei sub 46′, correndo a Bressanone in 46 netti e anche durante gli Europei di Zurigo, dove hai ottenuto un buon 46″34 in semifinale.
Sembravi avviato in quella graduale crescita che, a mio avviso, uno specialista del giro di pista deve avere, ma poi qualcosa non è andato nel verso giusto e, gli anni successivi, hanno decretato un peggioramento lento, ma costante, culminato nel 2016. Come mai?
Credo che quando i risultati non arrivino le responsabilità vadano divise tra atleta e allenatore. In particolare con Luigi, dopo un po’ di tempo, non ho più condiviso i metodi di allenamento basati troppo sulla quantità e, forse, avrei dovuto avere subito la forza di staccarmi da lui.
Ho passato, quindi, un periodo in cui sono stato contrastato da mille pensieri e credo, che queste indecisioni, siano state certamente causa del peggioramento delle mie prestazioni.
Poi, però, la scelta di passare con Maffei si è rivelata inopportuna, perché il 2016 è stato veramente il tuo “annus horribilis”. Ti senti di spiegarlo?
È un un argomento un po’ delicato nel senso che c’è stata, con Enrico, della tensione alla fine della nostra collaborazione, ma adesso tutto si è ristabilito e i nostri rapporti sono cordiali.
Credo che lui sia un grandissimo studioso delle varie tecniche di allenamento ma, forse, la sua giovane età, ha pochi anni più di me, non gli ha permesso di mettere in pratica, con successo, le sue teorie innovative
Già, con tempi ben sopra i 48′ e un finale di stagione addirittura sopra i 49′, il 2016 deve essere stato per te una specie di incubo da cui ti sei svegliato alla grande, grazie a un nome e un cognome: Chiara Milardi.
Raccontaci un po’ di lei, anche in proiezione del nuovo importantissimo anno agonistico che verrà. Quale è stato l’elemento fondamentale del cambiamento?
Chiara è una persona straordinaria che vive di Atletica, credo, da quando era nella culla, grazie al suo grande padre, ed è una persona che è riuscita a trasmettermi una enorme fiducia nei miei mezzi atletici, specialmente all’inizio della mia avventura a Rieti, quando in pochi credevano ancora in me.
Se non fosse stato per lei avrei quasi certamente abbandonato l’Atletica e invece eccomi qui con un grande obiettivo per l’anno prossimo, l’Olimpiade e quella finale che ho solo accarezzato, per un attimo, agli scorsi mondiali di Doha.
Il 2019 è stato un anno pazzesco per te. Due volte il record italiano, due volte sotto i 45′, la consapevolezza, ormai, di potertela sempre giocare, anche con i più grandi, senza mai sfigurare.
Come sempre accade, dopo un’annata trionfale, la conferma e il miglioramento rappresenta sempre un momento delicato, anche da un punto di vista psicologico, perché si ha spesso tanta paura di non essere all’altezza delle aspettative che tutti si sono fatti.
Come state preparando questo momento fondamentale della tua carriera, quello della tua definitiva consacrazione?
Hai perfettamente ragione, quando si ottiene un buon risultato la gente si aspetta da te sempre tantissimo e, se non si riesce, arrivano le critiche che possono anche fare male.
In ogni caso sono molto contento di questa prima fase della preparazione dove io e Chiara stiamo molto lavorando sulla tecnica, perché siamo convinti che, a questo punto, solo i dettagli possono fare la differenza e permettermi di confermarmi, migliorando ancora.
Molti mi dicono che devo progredire sulla velocità, specie nel passaggio ai 200, io ho un personale di 20″90, ma per ottenere questo l’unica soluzione è automatizzare meglio dei movimenti e, credimi, in questa prima fase passo, delle volte, anche due ore a ripetere un esercizio per arrivare ad essere, tecnicamente, il più perfetto possibile.
Per il resto, in questa fase, come è normale che sia, stiamo facendo anche molta forza e devo dire che il mio fisico sta rispondendo molto bene per cui sono ottimista per l’anno prossimo e per il traguardo della finale Olimpica che è, assolutamente, il mio obiettivo primario.
Parlando di te a Rieti non posso non pensare a Matteo Galvan. Come sta e come è allenarsi con un atleta a cui, oltretutto, hai tolto un record italiano?
Matteo sta bene e sta allenandosi alla grande. Purtroppo lui ha una muscolatura, in particolare dei tendini, molto fragile e, purtroppo, è abbastanza soggetto a piccoli problemi di vario genere.
Siamo in ottimi rapporti e felici di allenarci insieme perché, certamente, siamo l’uno di stimolo all’altro e non è un elemento trascurabile. Ovviamente siamo due grandi agonisti e sono certo che Matteo farà una grande stagione dove, entrambi, potremo dare un grande contributo alla staffetta 4 x 400 metri.
Raccontami brevemente dei tuoi programmi agonistici del 2020. Farai le indoor?
Assolutamente no, i mondiali sono finiti tardissimo, a ottobre inoltrato e le Olimpiadi sono a inizio Agosto. Debutterò ad Aprile, in qualche 500, cercando magari di prendermi quel record italiano di Donato Sabia che resiste da un po’.
Poi la Diamond League Italiana, per certo e, per il resto, valuterò con Chiara le gare migliori per poter arrivare, a inizio agosto, al top.
E agli Europei di Parigi, di fine agosto, un podio non mi sembra per niente impossibile. Non ci pensi?
No, la mia mente è fissa su Tokio, devo e voglio far bene lì e lasciare il segno. Una volta raggiunto l’obiettivo penserò a Parigi, ma la mia caratteristica è quella di avere un pensiero fisso alla volta.
Grazie Davide un grande augurio di passare delle festività serene e ci risentiamo presto, se vorrai.
Grazie mille, certamente, un grande augurio anche a te e complimenti per la vostra testata che racconta tanto degli atleti, cosa che pochi fanno e, certamente, ne abbiamo molto bisogno.