Yelena Isinbayeva (foto Pinterest)
Yelena Isinbayeva (foto Pinterest)

E’ arrivata lei ed è stato un colpo di fulmine: Yelena Isinbayeva, nata il 3 giugno 1982 sotto il segno dei Gemelli, nella città martire di Stalingrado, oggi Volgograd (l’immensa vittoria con lo spadone è sempre là, sulla collina delle croci), da madre russa e padre caucasico, della piccola etnia Tabasaran, di professione elettricista.

In casa, pochi rubli e, all’apparenza, poche chances per la ragazza dagli occhi blu profondo, o forse ardesia battuta dalla pioggia. Lena voleva fare la ginnasta. A 14 anni, troppo alta. “Sei coordinata, veloce: usa quel che hai imparato per far dell’altro”. Prova e fa saltare tutti i banchi delle classi giovanili.

Primo contatto, Parigi 2003, Mondiali allo Stade de France: molto timida, sguardo che preferisce puntare all’ingiù, qualche peluzzo su gambe depilate in maniera approssimativa, stile ancora vecchia Urss: gli ingressi in società sono così, possono persino permettere a Svetlana “Pel di Carota” Feofanova di prendersi l’ultimo titolo prima che un monopolio venga instaurato; un regime implacabile, imposto da chi ha il grado di capitano della polizia ferroviaria ed è una delle preferite di Vladimir Putin che si è inventato un premio per allungarle un milione di dollari.

E quando, dentro il Nido d’Uccello pechinese, si è avvolta sui 5,05, ha saputo ricorrere alle perfezioni sue e al magistero impressole come un marchio da Vitali Petrov, il tecnico di Kharkov, altra città martire, l’uomo semplice e schietto che portò Sergei Bubka al paradiso dei 6 metri.

E il giorno dopo, sul podio Yelena ha pianto: non le solite lacrimucce di circostanza, ma grandi, copiose, di quelle che terremotano il lavoro della sala trucco dove si passa prima di andare alla cerimonia.

I difficili dicono che Yelena abbia il naso grande. Bene, concesso, così si può andare avanti senza fare la figura degli idolatri.

Yelena non è perfetta, ma attira come se il suo sguardo contenesse una calamita.

Coinvolge, cattura e una delle ragioni può essere la sua capacità di vincere una gara dormicchiando, come Napoleone prima della battaglia di Marengo, dopo aver dato un’occhiata da sotto la visiera del berretto da baseball (qualche avversaria trovava la faccenda piuttosto indisponente) e poi vincerne un altro paio da sola, ricercando la concentrazione, rinvenendola, saltando 4,95 alla terza, 5,05 sempre alla terza quando di mezzo c’è un oro olimpico, il secondo, già annesso a 4,85.

E concedendosi alle necessità di operatori e dei fotografi che devono correrle dietro, tentando di dimenticare i chili di troppo e i chili dell’equipaggiamento.

Si fermerà, Yelena, e inizierà il suo show: le mosse e l’espressione da signorina di buona famiglia che, per un puro caso, si ritrova su un prato in mutandine e reggiseno (ormai tutto è molto ridotto), la posa accanto alle cifre del suo exploit; il sorriso che contagia; le saette che iniziano a guizzare e che dopo il 5,01 di Helsinki 2005 (unico giorno di sole in una settimana di pioggia impietosa; anche fortunata…), la trasformarono in baiadera, in Sherazade con mille e una fiabe da raccontare all’asta, la più grossa bacchetta magica della storia.

C’era chi non la amava: dicevano che centimetrizzasse, come Bubka, per calcolo, per sete di guadagno.

Comprensibile per chi ha la febbre del mattone: da quando ha iniziato ad allineare titoli e record del mondo (27), acquista immobili a Volgograd (per papà, mamma e sorella) e a Montecarlo.

Non ha avuto un’infanzia agiata e un po’ di comprensione è permessa. In realtà avrebbe potuto gonfiare i conti in banca offrendosi come erede di Angelina Jolie nei panni di Lara Croft. Con Lena di mezzo, inutile assumere controfigure o stunts: avrebbe fatto tutto da sola: voli, salti mortali, prese di contatto con il terreno seguite da inseguimenti frenetici. Nessun dubbio: sarebbe stata meglio di Alicia Vikander.

Il 17 (agosto 2009) le porta malissimo. A Berlino, cronaca di una deposizione e il momento è duro da digerire, da accettare.

Ore 18: un bacio offerto all’Olympiastadfoin e al mondo, allungato con un dito, e un lampo malizioso. Poi, per Yelena la zarina un’oretta di siesta mentre le altre si scannano.

Isinbayeva, prima prova a 4,75, annunciano gli speaker: l’asticella rimane al suo posto, solo che Yelena passa sotto.

In un angolo Anna Rogowska, bionda polacca, baltica di Gdynia dal volto nervoso, stringe la dote di quella quota.

E’ diventata famosa: a pari misura (4,68) a Londra ha avuto la meglio sulla regina interrompendo una catena di 18 vittorie, proprio sulla pedana della prima ascensione a 5,00, 22 luglio 2005, data storica.

Yelena tiene due salti a 4,80, parla alla sua bacchettona magica, entra veloce ma quello svincolo che di solito è una meraviglia, è un’azione affrettata, confusa.

Si alzano voci: nervosismo, ginocchio dolente, problemi tecnici in una stagione che, dopo il volo al coperto di Donetsk (un altro 5,00) si era trascinata in una normalità non da lei, il divorzio dall’Adidas per abbracciare la cinese Li Ning, un milione e mezzo di dollari l’anno.

Tante cose che si affollano, che offuscano il nitore. Alle 20,40 il terzo errore, netto, brutto. Smarrite le chiavi del regno iniziato a Atene, proseguito a Helsinki, a Osaka, a Pechino. Neanche ultima, senza misura: una presenza che diventa un’assenza. Anna deve sentirsi come l’uomo che uccise Liberty Valance, anche se la tesi del suicidio ha buone basi. Lena piange.

Undici giorni dopo quei tre salti brutti, tre salti buoni al Letzigrund, caveau svizzero di record. Il terzo è a 5,06, record del mondo, il 27°. Chi aveva cantato il de profundis, deve ammettere di aver preso un abbaglio, dalla deposizione alla restaurazione: 4,71 alla prima, 4,81 alla prima.

Gara vinta e Rogowska, l’arcigna polacca che aveva approfittato della sua defaillance, battuta. La corsa al milione di dollari della Golden League può continuare e a Yelena i soldi non hanno mai fatto schifo. Sola, con le ustioni che la tormentano meno. Ma sì, proviamoci, un salto a 5,06 per sé, per gli aficionados. E così, pulita, perfetta: ancora un record per la ragazza volante che ripulisce e spazza via la macchia nera. Come lei, poche.

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