Road to Tokyo: Marcell Jacobs

Intervista a tutto tondo con il campione europeo dei 60 indoor

Dopo il grande appuntamento dei campionati europei al coperto, riprendiamo la nostra rubrica dedicata a quegli atleti che stanno preparando il prossimo appuntamento Olimpico che, per quanto riguarda l’Atletica, sarà dal 30 luglio all’8 agosto.

È quindi un grande onore poter intervistare Marcell Lamont Jacobs, straordinario protagonista degli Euroindoor di Torun dove ha vinto l’oro nei 60 metri con il grandissimo crono di 6″47, che sarà certamente uno degli azzurri più attesi a Tokyo, in quella che è la gara più seguita della Regina degli Sport Olimpici: i 100 metri.

Ciao Marcell, grazie veramente della disponibilità e, prima di tutto, complimenti vivissimi perché hai realmente entusiasmato, con la tua impresa, tutti i tifosi di Atletica.
Per chi ti conosce meno, però, ricordo brevemente che il tuo cognome deriva dal fatto che sei nato negli Stati Uniti, a El Paso, in Texas, in quanto tuo padre è un cittadino statunitense.
Quando sei venuto in Italia e, possiedi ancora la doppia cittadinanza?

Ciao, grazie a te per lo spazio che mi dedichi. In realtà ho vissuto negli States pochissimo e, a 1 anno circa, ero già in Italia, perché mia madre è italiana e ho vissuto tutta l’infanzia e l’adolescenza a Desenzano.

Per quanto riguarda la cittadinanza americana in realtà mi è scaduta nel 2015 e non l’ho più rinnovata.

So che hai avuto un rapporto problematico con tuo padre e che, da quando sei arrivato in Italia, hai perso ogni contatto. Negli ultimi tempi è cambiato qualcosa?

In effetti non l’ho più sentito e visto per tantissimi anni ma poi, la tecnologia, l’avvento di Facebook e la possibilità di fare anche dei collegamenti video, hanno fatto si che, nell’ambito di alcuni rapporti in essere con miei parenti statunitensi, io abbia avuto l’occasione di risentirlo.

Ti dico la verità, sono stati contatti rari, anche perché io non mi sentivo più di tanto di avere rapporti con lui ma, ultimamente, qualcosa sta cambiando e mi sono ripromesso di lavorare su me stesso per cercare di migliorare questa situazione.

Ho sentito dire che non hai una grande padronanza dell’inglese. Come ti spieghi questa poca predisposizione per quella che dovrebbe essere la tua lingua madre?

Di fatto, da quando ho cominciato a parlare l’ho sempre fatto in italiano e poi, negli anni ho sempre avuto come un senso di rifiuto per una lingua che mi evocava qualcosa di negativo, quale il senso dell’abbandono che avevo subito da parte di mio padre.

Poi, ovviamente, crescendo le cose sono cambiate, anche per le molte trasferte che faccio e adesso capisco tutto perfettamente e lo parlo anche abbastanza bene.

Marcell Jacobs (foto Colombo/FIDAL)
Marcell Jacobs (foto Colombo/FIDAL)
Tu hai 26 anni e 3 figli, un bel record ma una situazione inusuale nel contesto di una generazione che non ama molto avere prole. Come nasce questo tuo spirito paterno?

Sicuramente tutto parte sempre dal rapporto difficile con mio padre e dal desiderio di costruire, il prima possibile, qualcosa di totalmente mio a livello famigliare.

In realtà il mio primo figlio, che adesso ha 7 anni, l’ho avuto realmente da giovanissimo, a 19 anni, e il rapporto con la madre non è proseguito ma, anche se non vivo con lui, sono molto felice di averlo come, ovviamente, dei miei due piccolini, uno di 2 anni e la bambina di pochi mesi che, invece, vivono con me insieme alla mia compagna.

Tra l’altro da circa tre anni vivi a Roma ma, prima di parlare di questo, facciamo un passo indietro. Quando hai cominciato con l’atletica?

Da ragazzino il primo sport che ho praticato è stato il basket, avevo dei piedi reattivi, ma poi dopo poco mi sono dedicato al calcio dove sono cominciate ad emergere le mie doti di velocità.

Il caso ha voluto che l’allenatore della squadra di calcio, nel campo sportivo di Desenzano, fosse anche un tecnico molto bravo di atletica, Adriano Bertazzi, il quale mi ha consigliato di lasciare il pallone per dedicarmi all’atletica stessa.

All’inizio ho provato varie specialità, legate in qualche modo alla velocità ed è emerso che ero particolarmente predisposto per i salti e quindi ho cominciato, dopo poco, a dedicarmi a tempo quasi pieno al lungo, pur non trascurando di fare anche delle gare sui 100 metri.

Come è nato l’incontro con il tuo tecnico Paolo Camossi e che tipo di rapporto avete?

È successo che intorno ai 19/20 anni ho cominciato a fare delle buone prestazioni proprio nel salto in lungo e nel 2014 sono entrato a far parte del Gruppo Sportivo della Polizia.

Dopo tale arruolamento ho continuato ad allenarmi a Desenzano, dove vivevo, ma ho cominciato a sentirmi un po’ isolato e allora il mio responsabile tecnico della squadra, Sergio Baldo, mi disse che avrei potuto andare ad allenarmi a Gorizia dove c’era un centro specialistico per saltatori in lungo, e che sarei stato seguito proprio da Paolo.

Avevo già avuto modo di conoscerlo e mi era subito molto piaciuto, per cui non ci ho pensato un attimo e mi sono trasferito in Friuli.

Il successivo trasferimento a Roma come è nato?

Nei tre anni passati a Gorizia ho ottenuto degli ottimi risultati e il mio rapporto con Paolo si è cementato nel senso che lui è diventato il mio indispensabile punto di riferimento.

Il gruppo del lungo però, nel frattempo si era assottigliato, io stavo passando sempre di più alla velocità pura e abbiamo sentito, entrambi, l’esigenza di un contesto in cui io potessi essere seguito in maniera più costante, anche da un punto di vista fisioterapico, e trasferirsi a Roma era la scelta ideale per tutto quanto poteva offrire.

Non potrò mai ringraziare abbastanza Paolo per aver deciso di seguirmi, cambiando di fatto la sua vita e aggiornando, in continuazione, tutte le sue competenze tecniche, per potermi supportare sempre meglio.

Marcell Jacobs (foto Colombo/FIDAL)
Marcell Jacobs (foto Colombo/FIDAL)
Ma tu l’hai ripagato totalmente e il trionfo di Torun certamente lo hai dedicato anche a lui. A proposito, prima di scendere in pista sabato mattina per le batterie dei 60 metri, avevi qualche dubbio sul fatto che avresti vinto il titolo, e pensavi di poter realizzare un simile crono?

Sicuramente ero molto consapevole delle mie possibilità, avevo corso vari meeting indoor con ottimi riscontri, ma poi si deve dare il massimo nella competizione che conta e c’è sempre un po’ di preoccupazione.

Tra l’altro, tre turni di gara così ravvicinati nel tempo dovevano essere gestiti nel migliore dei modi ma, dopo aver visto in semifinale che, pur partendo moto male, avevo comunque ottenuto 6″56, mi sono detto che ce la potevo certamente fare.

Il tempo della finale devo confessarti che ha sorpreso anche me, avevamo ipotizzato un crono intorno ai 6″50, poco sopra o pochissimo sotto ma, evidentemente, non ho sbagliato nulla e ne sono molto felice.

Tu sembravi destinato a una grande carriera agonistica da saltatore in lungo  e poi, per problemi fisici, hai accarezzato maggiormente le corse di velocità a cui, per adesso, ti sei definitivamente dedicato.
Senza parlare della bellissima competizione che c’è con Filippo Tortu, sinceramente, il fatto che lui tre anni fa abbia battuto il record di Mennea, e sia andato sotto i 10 secondi, ha influito in qualche modo sulla tua decisione di abbandonare il lungo?

Guarda, l’impresa di Filippo è stata straordinaria, nel 2018 era ampiamente pronosticabile dopo quanto aveva fatto, sia a Savona che poi al Golden Gala Pietro Mennea dove aveva corso in 10″04 a vento zero.

Io, come tutti gli appassionati, mi sono entusiasmato per quanto da lui compiuto ma, credimi, la mia idea era di andare avanti con il salto in lungo e, infatti, nell’inverno del 2018, avevamo preparato la stagione indoor.

Poi, dopo un buon esordio a Madrid nel febbraio del 2019, dove ho saltato 8,05, c’è stata la brutta parentesi degli euroindoor di Glasgow, dove sono uscito in qualificazione con tre nulli, e poi tutta una serie di problematiche per cui ogni volta che saltavo, dovevo poi stare due giorni con il ghiaccio sul ginocchio.

Dedicarsi totalmente alla velocità è stata una scelta obbligata anche se ne sono, ovviamente, molto felice.

Sei un velocista di rilevanza mondiale, ma non da sabato, anche se il grande pubblico lo ha scoperto adesso.
In ogni caso, ora che hai vinto questo importantissimo titolo, senti ancor di più la responsabilità su di te e la pressione a cui inevitabilmente sarai sottoposto?

Negli ultimi anni, oltre ad aver allenato molto il mio fisico, ho fatto altrettanto anche con la mia testa, in tutti i sensi, e ho imparato che la cosa importante è quanto io aspetto da me stesso in una competizione, per cui ogni altro parere mi scivola totalmente addosso.

La gente spesso si aspetta che, ogni volta, un atleta debba sempre arrivare ai limiti delle proprie possibilità ma non può certo essere così, per tanti motivi.

Un esempio su tutti, legato proprio a un velocista. Pensa al canadese Andre De Grasse, straordinario campione che durante l’anno inizia facendo tempi sui 100 e 200 metri, anche non eccezionali, ma poi si presenta sempre agli appuntamenti che contano al top della condizione, ed ottiene i personali con piazzamenti di assoluto valore.

Marcell Jacobs-Doha (foto Colombo/FIDAL)
Marcell Jacobs-Doha (foto Colombo/FIDAL)
L’1 e 2 maggio grande appuntamento a Chorzow per le World Relays che possono dare alla vostra staffetta 4×100 l’accesso per le Olimpiadi, sfumato di pochissimo ai Mondiali di Doha dove avete pur fatto, in semifinale, il record italiano.
Adesso la squadra mi sembra ancora più forte con te, Filippo Tortu e Fausto Desalu che, oltretutto, non c’era nemmeno nella gara del record.
A parte voi tre, ovviamente inamovibili, chi vedi quale quarto frazionista ideale e come piazzeresti i vari componenti?

Bella domanda, ma difficile darti una risposta e ti dico che non vorrei essere nei panni del responsabile Filippo Di Mulo.

Le frazioni mie e di Filippo vanno benissimo, a mio avviso, mentre credo che Fausto sarebbe perfetto per la seconda curva solo che bisognerebbe poi trovare qualcuno che faccia la prima frazione, vale a dire che parta molto bene e che sia un buon curvista.

C’è qualche giovane che promette bene, poi bisognerà anche vedere la condizione di Davide Manenti che ha sempre corso, negli ultimi anni, la terza frazione. Vedremo ma sono fiducioso che, in ogni caso, faremo delle grandi cose.

Un’ultima domanda, quasi un gioco. Se dovessi scegliere tra due possibilità in cui ritrovarti a fine settembre, quando finirà la stagione estiva, preferiresti pensare di avere il record italiano dei 100 metri, oppure di essere stato finalista alle Olimpiadi?

Sicuramente la finale delle Olimpiadi anche perché, quando ci si arriva può succedere di tutto e, a mio avviso, mai come quest’anno non c’è un reale favorito e allora, vorrei esserci a tutti i costi per giocarmela sino in fondo.

Nel ringraziare Marcell per la cortesia e disponibilità dimostrata, voglio anche farlo con il Gruppo Sportivo Fiamme Oro della Polizia di Stato, che ci ha concesso l’autorizzazione per poter realizzare questa intervista.
Sport OK Junior