James Cleveland Owens, da tutti chiamato Jesse in virtù del soprannome datogli da un insegnante di una scuola che aveva frequentato da ragazzo, è considerato una delle più grandi leggende dell’atletica mondiale di tutti i tempi, in virtù soprattutto delle 4 medaglie d’oro vinte nel corso delle undicesime Olimpiadi moderne disputate a Berlino nel 1936, quando vinse nei 100, 200 e staffetta 4×100 metri, ma anche nel salto in lungo, una sensazionale impresa replicata solamente nei giochi a cinque cerchi di Los Angeles 1984, dal figlio del vento Carl Lewis.
Owens, che nacque il 12 settembre del 1913 a Oakville in Alabama, per poi trasferirsi quasi subito a vivere la sua infanzia ed adolescenza a Cleveland in Ohio, veniva da una famiglia molto povera che visse dei periodi oltremodo difficili anche per la grave depressione che si abbatté sugli Stati Uniti a partire dal 1929.
Le sue grandi doti per l’atletica, sia per la velocità che per i salti in estensione, gli consentirono presto di entrare nella squadra sportiva dell’Università dell’Ohio ma poi, di fatto, la sua carriera sportiva di atleta dilettante che poteva partecipare ai più grandi eventi nazionali e internazionali, durò molto poco e il suo mito si costruì, e rimane tuttora inalterato, su 5 fatidici giorni della sua vita agonistica, il 3, 4, 5 e 9 agosto 1936, quando ottenne i suoi 4 successi olimpici a Berlino rispettivamente nei 100, lungo, 200 e staffetta 4 x 100 metri, ma anche in quell’incredibile 25 maggio dell’anno prima, il 1935, allorché esattamente 87 anni fa realizzò la fantastica impresa di conquistare 6 record del mondo in 45 minuti.
I 6 record del mondo
Accadde allo Stadio Ferry Field nella città di Ann Arbor, nel Stato del Michigan, per quello che gli storici dell’atletica chiamano ancora il giorno dei giorni, che vide anche ricordato come quello in cui, per la prima volta nella storia, un saltatore in lungo fu capace di superare la fatidica soglia degli otto metri per quel record del mondo di 8,13 che resistette ben 25 anni, sino al 1960.
Ovviamente, parlando di quasi novant’anni fa, ogni tipo di ricostruzione per quell’evento va ascritto a ricostruzioni tramandate nel tempo di cui non vi può essere una assoluta certezza, salvo ovviamente che per i tempi ufficiali che sono stati ufficialmente registrati.
Pare, in ogni caso, che l’allora 21enne Jesse soffrisse in quei giorni di un fastidioso mal di schiena e che il suo allenatore gli avesse consigliato di lasciar perdere, ma che lui volle gareggiare a tutti i costi in quanto era una competizione universitaria e sentiva di avere un debito di riconoscenza per l’Università dell’Ohio che gli aveva assegnato la borsa di studio.
Il sabato 24 Owens fece le prove di qualificazione con la conseguenza che, il mattino dopo quello delle finali, si svegliò con la schiena quasi bloccata al punto che, sempre secondo i racconti dell’epoca, si fece aiutare da un amico per indossare la divisa da gara prima delle 100 yards (91,44 metri) che rappresentavano l’impegno iniziale dell’atleta.
Allo sparo dello starter, però, tutti gli acciacchi sparirono e Owens filò via fluido e veloce per tagliare il traguardo nel tempo manuale di 9″4, secondo due cronometraggi e anche se un terzo gli attribuì 9″3, venne confermato quello superiore che rappresentò comunque il primato del mondo eguagliato.
Erano le 15,15 di quel pomeriggio e Jesse appena tagliato l’arrivo si recò immediatamente verso la pedana del lungo con la consapevolezza di dover anche correre, da li a poco entro mezz’ora la finale delle 220 yard ( 201,17 metri circa), ma qui successe forse la cosa più incredibile con l’atleta che, prima di fare il primo salto andò verso la buca di atterraggio e piazzato un pezzetto di carta fissato da un sassolino poco prima degli 8 metri, il record del mondo era del giapponese Nambu con 7.98, e così una volta effettuata la prova si accorse subito di aver superato quel limite, vedendo il foglietto dietro di lui, come sancito subito dopo dal tabellone dove comparve la scritta 8,13.
Erano le 15,25, in 10 minuti un record mondiale eguagliato e uno polverizzato ma era solo una parte dell’opera in quanto, alle 15,45, nelle 220 yards senza curva, su un rettilineo infinito, Owens fece fermare il cronometro nel nuovo record del mondo di 20”3 valido sia sulla distanza corsa, che su quella di passaggio delle 200 yards, e quindi realizzò due record distinti.
Un quarto d’ora alle 16, sempre sulla stessa distanza delle 220 yards, ma con dieci ostacoli di mezzo, Owens fece registrare il crono di 22”6 e, anche in questo caso, valse anche il record del passaggio alle 200 yards H che determinò, nello spazio di tre quarti d’ora, ben sei record ufficiali.
Le Olimpiadi di Berlino
I giochi a cinque cerchi della Germania del nazismo furono organizzati, nel 1936, come una grande propaganda del regime, e miliardi di marchi dell’epoca vennero spesi per creare o ristrutturare stadi e palazzi, mettendo in piedi colossali coreografie che mostrassero nel migliore dei modi la potenza della Germania nazista.
Anche nella preparazione degli atleti di casa venne messa molta cura in quanto il successo sportivo alle Olimpiadi sarebbe servito per confermare le tesi naziste sulla superiorità della razza ariana.
In molti, negli Stati Uniti, avevano chiesto di boicottare quei giochi in quanto il regime di Hitler aveva già dimostrato di essere una dittatura illiberale e antisemita, ma alla fine la squadra USA partecipò e il maggior risultato fu realizzato proprio da Owens che, il 3 agosto vinse la medaglia d’oro nei cento metri, il 4 agosto nel salto il lungo, il 5 agosto nei 200 ed infine, a sorpresa visto che non avrebbe dovuto far parte della squadra, il 9 agosto ottenne la sua quarta medaglia con la staffetta 4×100 metri.
Per anni venne tramandata la falsa storia che Hitler abbandonò l’Olympiastadion dopo la vittoria di Jesse sui 100 metri, ma lo stesso campione statunitense ebbe modo varie volte di smentire tale falsa notizia dicendo anzi che durante la premiazione il dittatore tedesco gli fece un cenno di complimenti con la mano.
Il dopo Berlino
La vittoria alle Olimpiadi non procurò grandi benefici economici a Owens che, quando tornò in patria negli Stati Uniti, preferì iniziare una specie di attività agonistica professionale nella misura in cui si faceva pagare per fare delle esibizioni gareggiando contro cavalli, cani e motociclette, durante eventi organizzati con il richiamo del suo nome di campione olimpico.
Tra l’altro, negli anni a seguire il peggioramento delle relazioni tra i popoli con lo scoppio della seconda guerra mondiale nel 1939, e l’inevitabile cancellazione prima delle Olimpiadi di Tokyo del 1940 e poi quelle di Londra del 1944, ridusse quasi totalmente ogni attività sportiva tradizionale e ben presto Owens si ritirò definitivamente dall’atletica.
Per Jesse, dopo la guerra, iniziò comunque una carriera molto apprezzata di oratore e conferenziere, principalmente come motivatore per aziende commerciali, davanti a platee composte quasi sempre da bianchi, che lo fecero guadagnare molto.
Ignorato dal Presidente statunitense dell’epoca dei suoi trionfi olimpici, Franklin Delano Roosevelt, e dal suo successore Harry Truman, il primo vero riconoscimento per i successi sportivi gli arrivò dal presidente Gerald Ford che, nel 1976, gli assegnò la Medaglia per la Libertà, il più alto riconoscimento civile degli Stati Uniti ma, purtroppo, questa soddisfazione durò per lui abbastanza poco in quanto, il 31 marzo 1980, Jesse morì a causa di un tumore ai polmoni, a Tucson in Arizona all’età di 66 anni.
Tra i tantissimi ricordi e celebrazioni di ogni genere che si sono susseguite negli anni per questo leggendario campione, ricordiamo il film a lui dedicato recentemente, nel 2016, dal titolo “Race – Il colore della vittoria”.