All’inizio del 2020, World Athletics, la massima federazione mondiale di atletica ha deciso che la migliore impresa tecnica della seconda decade del terzo millennio, tra il 2010 e il 2019, era rappresentata dal record del mondo di David Rudisha del 9 agosto 2012 quando, nella finale degli 800 metri alle Olimpiadi di Londra, ha vinto l’oro a cinque cerchi con il sensazionale crono di 1’40″90 che ancora oggi rappresenta il primato del mondo.
Rudisha è un mezzofondista keniano nato a Kilgoris 17 dicembre 1988, originario di una tribù Masai, straordinario interprete sino al 2017 sulla distanza del doppio giro di pista dove ha conquistato due medaglie d’oro olimpiche, due titoli mondiali, uno africano, due trofei della Diamond League, oltre al primato del mondo di cui si è impossessato la prima volta a Berlino il 22 agosto 2010, con 1’41″09, per poi migliorarsi subito il 29 successivo a Rieti con 1’41″01, e porre un sigillo che appare ancora imbattibile due anni dopo a Londra.
Il padre Daniel, ottimo specialista dei 400 metri e medaglia di bronzo ai Giochi a cinque cerchi di Citta del Messico 1968 con la staffetta del miglio del Kenia, gli ha certamente trasmesso geni e passione per la velocità al punto che, il giovanissimo David, aveva iniziato addirittura con i 200, per poi passare al giro di pista e infine agli 800 metri, che spesso interpretava come una gara di velocità pura con la sua corsa regale e travolgente senza alcun tatticismo tipico della specialità.
Ma non fu certo il genitore il mentore di David nella sua inarrestabile ascesa verso la gloria agonistica, bensì un prete missionario irlandese, allenatore per decenni dei più formidabili corridori keniani, padre Colm O’Connell autentica leggenda vivente del Kenya, il quale appartiene alla congregazione dei Padri di San Patrizio che è presente in sette Paesi del Mondo.
Padre O’Connell arrivò in Kenya nel 1976 per insegnare geografia alla St. Patrick’s High School di Iten, e credeva che sarebbe rimasto in Africa solo due o tre anni, ma invece non è più andato via, oggi ha 74 anni, e ha cominciato a occuparsi di atletica leggera senza alcuna preparazione specifica, per poi diventare uno straordinario tecnico capace di seguire decine di atleti tra cui i più celebri sono stati, prima di Rudisha, Peter Rono (medaglia d’oro dei 1500 metri alle Olimpiadi del 1988), Wilson Boit Kipketer (campione mondiale e argento olimpico nel 2000 nei 3 mila siepi), Ibrahim Hussein (vincitore di tre edizioni della maratona di Boston e di una edizione della maratona di New York).
Di David, O’Connel racconta sempre questo aneddoto: “Ho visto Rudisha correre per la prima volta nel 2004, in una gara di 200 metri ai Campionati provinciali della Rift Valley per le scuole elementari e, dopo avere visto quel ragazzino Maasai alto e magro correre in un’altra gara, l’ho invitato a un campo di allenamento.
Gli chiesi come si chiamasse e lui mi rispose David Rudisha, e quando gli dissi che avevo sentito parlare solo di un altro Rudisha, Daniel, e se fosse imparentato con lui, mi rispose che era suo padre e pensai che i geni erano quelli giusti.”
Nel 2005 il 17enne Rudisha, dopo un solo mese di allenamento per gareggiare sui due giri di pista, corse in 1’49 sulla pista di St Pat’s e, appena un anno dopo, nell’agosto 2006, vinse il titolo mondiale under 20 a Pechino in 1’47″40 per poi nel 2008, vincere il suo primo titolo da assoluto, quello Africano, con 1’44″20 ad Addis Abeba.
Due anni dopo la definitiva esplosione agonistica, il già ricordato 22 agosto 2010, con il suo primo record mondiale di 1’41″09, ottenuto a Berlino, che superava peraltro il precedente primato di 1’41″11 del 1997 di un altro grande campione allenato da Padre Colm, il keniano divenuto danese Wilson Kipketer.
La carriera di David è stata, però, nonostante i record e i grandi successi, piena di mille difficoltà e, se il 2012 è stato per lui un anno sensazionale con titolo olimpico e record, ha poi avuto tre anni di sofferenza e fatica a causa di un grave problema al ginocchio che lo ha pesantemente condizionato ma non impedito poi di presentarsi ai Mondiali di Pechino in ottima condizione e di vincere il suo secondo titolo mondiale dopo quello di Taegu nel 2011.
L’anno successivo, a Rio de Janeiro nel 2016, è diventato il primo uomo dopo il grande Kiwi volante Peter Snell a conservare il titolo olimpico degli 800m ma purtroppo, l’anno successivo, dopo un’ultima gara a luglio in Diamond League non ha più corso a causa di un infortunio da cui non è mai riuscito a riprendersi nonostante, a più riprese, avesse annunciato che voleva riprovarci, puntando anche alle Olimpiadi di Tokyo.
In realtà David non ha mai ufficialmente annunciato il suo ritiro agonistico per cui si potrebbe pensare che ancora ci stia pensando ma la cosa appare assolutamente improbabile per le infinite vicissitudini di ogni genere occorsegli proprio dal 2017, a cominciare da un infortunio non subito evidenziato nella sua sostanza e risolto solo nel 2019, poi l’esplosione della pandemia mondiale, la separazione dalla moglie nel 2019, la perdita del padre nello stesso anno ed anche uno spaventoso incidente automobilistico dal quale è uscito vivo miracolosamente.
Rudisha ha oggi 33 anni e, sinceramente, preferiamo solo ricordare le sue grandi imprese che rimarranno immortali a cominciare da quella del 9 agosto 2012 quando corse quella fantastica finale come se fosse una gara di velocità rimanendo in testa dall’inizio alla fine e trascinando quelli dietro di lui a tempi inimmaginabili per quella che è stata definita da Sebastian Coe, Presidente di World Athletics e a sua volta ex grande specialista degli 800 metri, la più grande gara della storia.