Armand Mondo Duplantis è ormai da tempo l’assoluta icona dell’atletica mondiale in quanto, oltre ad aver vinto tutto quello che si possa vincere nella carriera, pur avendo ancora solo 24 anni, polarizza spesso l’attenzione generale al termine delle sue gare il cui esito finale è praticamente una formalità, provando quasi sempre dopo essere certo della sua vittoria ad attaccare il record del mondo che detiene dall’8 febbraio 2020 quando salì sino a 6,17 a Torun in Polonia, per poi migliorarlo di centimetro in centimetro sino ai 6,23 della finale di Diamond League di quest’anno a Eugene.
Per il fenomenale saltatore svedese, vincitore di uno dei tre oscar mondiali assegnati recentemente da World Athletics, è però già tempo di pensare alla prossima importantissima stagione che lo vedrà impegnato certamente, sia al coperto con i Mondiali di Glasgow a marzo, che all’aperto negli Europei di Roma e nelle Olimpiadi di Parigi, ma anche in tanti altri meeting dove darà come sempre spettacolo con le sue acrobazie oltre la normale competizione.
In Scozia, intanto, dal 1 al 3 marzo Duplantis difenderà il titolo già conquistato a Belgrado nel 2022 su una pedana per lui già molto cara in quanto ci realizzò il suo secondo pèrimato mondiale, il 15 febbraio 2020, solo sei giorni dopo l’impresa del 6,17 a Torun e, a tal proposito Armand ha recentemente ricordato come quel salto di Glasgow fu per lui particolarmente importante per dimostrare a tutti che il precedente primato, di una settimana prima, non era certo arrivato per caso.
Bellissima l’immagine che riproduciamo sotto, subito dopo il sensazionale salto, dove l’atleta dopo essersi alzato trionfante dalla fossa di atterraggio si è mostrato con le braccia teatralmente incrociate con le sguardo a significare che quello ormai era il suo standard abituale.
Le sue parole in merito a quel salto: “Volevo dimostrare di essere in grado di fare il prossimo, e di farlo ancora più facilmente del primo, quindi è stata una delle gare in cui ero più motivato. Era un tipo di pressione diversa rispetto alla prima gara, dopo aver appena battuto il record mondiale.
Era come se avessi appena ottenuto un enorme successo commerciale con un primo album discografico e quindi dovevo inventarmi qualcos’altro“.
Per quanto riguarda il piegamento delle braccia di quel momento, ha detto: “Ricordo di averlo fatto. Penso che il modo in cui mi sentivo, era più una cosa naturale che accadeva, ed era un po’ più appariscente del primo record mondiale.
Mentalmente credo che il primo record mondiale sia stato più un ‘Oh mio Dio, non posso credere che stia accadendo’. Ho appena battuto il record del mondo. Mi sembra di sognare.
La volta successiva è stato più un “Sì. Questo è ciò che faccio. Questo è ciò che sono. Questo è ciò che verrà. Sono a quel livello.
E credo che questa sia stata la mentalità. Ero molto fiducioso, a mio agio. È stata questa la sensazione che ho provato“.
In seguito ha donato le scarpe di quel record mondiale al Museo dell’atletica mondiale ma ora torneranno a Glasgow nel nuovo anno e saranno esposte per un mese in una mostra in vista dei Campionati mondiali indoor.
Da quel momento a Glasgow, Duplantis, che ha compiuto gli anni il 10 novembre, ha stabilito altri cinque record del mondo, l’ultimo dei quali alla finale della Wanda Diamond League di Eugene, dove ha superato i 6,23 metri.
È vero che è più facile raggiungere le altezze al chiuso per l’ovvia assenza di vento e di condizioni atmosferiche avverse?
“Sì é decisamente più facile al chiuso. Il vento è davvero dannoso. Quando si fa il salto con l’asta all’aperto, tutto si complica.
Al chiuso è diverso: l’approccio in generale, la possibilità di afferrare quanto si vuole, il modo in cui si porta il bastone.
Se c’è un qualsiasi tipo di vento, laterale o in faccia, devi abbassare un po’ la punta della racchetta e lottare contro il vento”.
Poi non sono in grado di impugnare il bastone così in alto, perché se lo impugno in alto è più pesante, quindi non riesco a mantenere la mia postura.
So che, per la maggior parte delle gare all’aperto, non ho la possibilità di battere il record del mondo, perché le condizioni di gara prevedono sempre un po’ di vento o qualcosa che mi impedisce di rilassarmi completamente e lasciare che la corsa si svolga da sola.
Quindi al chiuso è sicuramente più facile. Non è un segreto. Se mi osservate al chiuso, sono anche molto più costante, per la maggior parte.
È all’inizio della stagione, ma se fosse all’aperto e poi al chiuso, sicuramente salterei ancora più in alto all’interno perché sarei più avanti nella stagione“.
Sorride all’idea che i suoi due record all’aperto avessero, effettivamente, una tariffa di difficoltà superiore.
“Sì”, ha detto, “ma il tempo a Eugene era davvero buono entrambe le volte“.
Ha aggiunto che il volteggio al coperto comporta un ulteriore elemento intangibile.
Le gare più importanti sono all’aperto, ma credo che la parola d’ordine per le gare indoor sia “intimo”. E per me, il solo fatto di sapere che nelle gare indoor ho maggiori possibilità di battere un record del mondo, mi dà una sorta di spinta in più per affrontarle”.
Naturalmente, il fatto che abbia collezionato record mondiali in tutto il mondo significa che ha più posti dove tornare con ricordi incoraggianti. Avrà quindi una buona sensazione quando tornerà a Glasgow?
“Certo“, ha detto. “E non ci sono più stato dopo quel record. Sì, ho davvero dei bei ricordi. So che è un ottimo posto per saltare e so che è un posto dove posso saltare in alto. Quindi sono entusiasta“.