Amos Biwott (foto archivio)
Amos Biwott (foto archivio)

Amos Biwott è entrato nel suo 74° anno e sembra più vecchio della sua età: grandi incisivi che balenano in un tentativo di sorriso, stoppie di capelli bianchi.

La fattoria è povera: qualche baracca con il tetto di lamiera, qualche mucca dalle costole che provano a forare a pelle, un paio di appezzamenti di granturco: nella stagione secca, le foglie crepitano sotto le scarpe.

Qualche anno fa una televisione di Taipei andò a intervistare l’uomo che fondò la fortuna kenyana delle siepi e la dimensione dello squallore si fece largo.

Amos confessò che anche un biglietto dell’autobus per Eldoret, un dollaro o poco più, poteva rappresentare un lusso. Le promesse del governo, lettera morta. Altre priorità: da tempo la violenza sta dilagando nel suo distretto e in quello non lontano, a Marsabit, dove vive il suo compagno di avventura, Ben Kogo, che di anni ne ha appena fatti 76..

Posso anche capire perché certi atleti se ne siano andati”, raccontava Amos, alternando l’inglese cantilenante allo swahili, portando in scena la folla di chi ha fatto il salto e ha scelto il Qatar, il Bahrain, gli Emirati Arabi, gli Stati Uniti.

A Stephen Cherono, prima che diventasse Saif Saaeed Shaheen, hanno promesso 1000 dollari al mese vita natural durante.

Ad Amos quei dollari farebbero maledettamente comodo, ma ai suoi tempi il cambio di passaporto non esisteva, non era contemplato.

C’era lo stipendio della polizia, prima che un’accusa di furto glielo facesse perdere e fosse costretto a tornare da dove era venuto, nel distretto dei Nandi, affacciato sulla Rift Valley, una miniera di campioni, un filone d’oro.

Quando Amos era nato, nella spaccatura verdissima, nella cicatrice che attraversa l’Africa Orientale, dai grandi laghi all’Etiopia, vivevano ancora gli elefanti strappando rami da quell’albero verde tenue che da loro ha preso il nome. Oggi abitano solo nei parchi.

Kogo era più vecchio di tre anni, più esperto: aveva corso a Tokyo, ai Campionati Africani, ai Giochi del Commonwealth in Giamaica, aveva esperienza: Amos, no: vent’anni e l’istinto, niente di più.

Corro i 10000 al campionato del mio distretto, finisco quarto, stanco non sono e quando vedo che di lì a due ore c’è la gara con gli ostacoli, mi dico: val la pena partire. Arrivo secondo e mi dicono: hai conquistato il diritto ad andare a Nairobi per i campionati del Kenya. Vado, vinco e mi portano ai campionati dell’Africa Orientale.

Lì vince Kogo che di siepi ne sa più di me, ma io sono secondo e mi dicono che ora devo andare alle Olimpiadi. Dove? Domando. In Messico, si va in aereo. Mai preso, dico io, ma va bene così”.

Il motivo per cui i kenyani sono imbattibili nelle siepi è semplice: se uno si sposta a piedi, e cinquant’anni fa era la norma, bisogna correre su argilla compatta, superare ruscelli secchi nella stagione asciutta o impetuosi in quella delle piogge, scavalcare fossi, scendere in piccole forre e risalirne.

Hanno cominciato con le siepi e quando hanno iniziato a farsi vedere nella corsa campestre hanno scandito anni di monopolio. I saltafossi, li ha chiamati qualcuno, con affetto sincero.

A Messico le siepi sono ancora un feudo europeo: il campione in carica è Gaston Roelants, belga di Lovanio. Era anche il primatista del mondo prima che una cometa finlandese, Jouko Kuha, glielo portasse via due mesi prima dei Giochi, per un paio di secondi.

Kuha era un personaggio bizzarro e ascetico: aveva preparato la stagione nel caldo umido del Brasile e aveva centrato l’obiettivo di diventare primatista mondiale. Subito dopo annunciò che, chi era nato al livello del mare lassù, non aveva una chance e non si fece iscrivere ai Giochi. Buon profeta.

A quel punto Roelants, che amava spingersi anche sulle lunghe e lunghissime distanze e che finì per diventare fonte di ispirazione per Karel Lismont, pensò che, se aveva smarrito il record, aveva la forte possibilità di fare un bis che non era riuscito a nessuno.

Da tenere d’occhio, l’americano George Young, l’australiano Kerry O’Brien, il russo Viktor Kudinsky. O’Brien era l’unico che aveva avuto a che fare con uno dei kenyani: due anni prima, a Kingston, era riuscito a salvare il secondo posto da Kogo per un paio di palmi.

Dell’altro, Biwott, nessuno sapeva niente.

Neppure Amos sapeva niente: della gara, della capacità di interpretarla, di se stesso. In batteria partì come un matto, scavalcando gli ostacoli senza andare ad appoggiare il piede, volando sulla riviera e andando a ricadere sullo stesso appoggio, come nell’hop del triplo.

Aveva le scarpe asciutte e un giornalista americano, che oggi sarebbe accusato di razzismo e finirebbe negli irati flutti dei frustrati che praticano l’arte masturbatoria dei social media, scrisse che sembrava avesse paura che nella fossa d’acqua lo attendessero in agguato i coccodrilli.

Biwott era un divertente, folkloristico, irrazionale ragazzo che sprintava con se stesso, che lasciava gli altri a una dozzina di secondi. D’accordo, i 2000 metri erano il suo habitat ma non stava esagerando?

E così – balzano sì, scemo no – in finale decise di non esagerare, di stare a guardare come si mettevano le cose.

Dalla coda assistette a ritiro di Kudinsky, colpito da uno stiramento a un polpaccio, e subì, senza conseguenze, l’aumento dell’andatura imposto da Roelants, seguito da Kogo e da Young.

I kenyani non potevano saperlo ma l’americano, alla sua terza Olimpiade, veniva da uno dei luoghi più misteriosi della terra: Roswell, New Mexico, l’area 51, posto da alieni.

Roelants, nato nel centro spaccato del Belgio, iniziò a boccheggiare, Young ad attaccare a fondo, Kogo a resistere all’assalto del “marziano”. Da dietro sbucò Biwott e li infilò e li infilzò tutti, un metro e mezzo davanti a Kogo e Young.

Campione olimpico alla quinta esperienza. Tempo trascurabile, ma era l’ultima cosa che importava.

Era già tutto scritto nella Bibbia: Amos, contadino, mandriano, profeta. E fondatore di una dinastia: ai Giochi, dopo di lui, un altro improvvisatore, Kip Keino, e poi Julius Korir, Julius Kariuki, Matthew Birir, Joseph Keter, Reuben Kosgei, Ezekiel Kemboi, Brimin Kipruto, ancora Ezekiel Kemboi, Conseslus Kipruto.

Mancano i titoli del ’76 e dell’80 solo perché il Kenya era assente per boicottaggio. Sennò, tredici di fila.

Gli ultimi 600 metri della finale dei 3000 siepi di Messico 1968

Sport OK Junior