Marcello Fiasconaro (foto archivio FIDAL)
Marcello Fiasconaro (foto archivio FIDAL)

Se esistono due sport che hanno intrattenuto rapporti così cordiali da risultare fraterni, questi sono l’Atletica e il Rugby: la sfera del non contatto (per modo di dire: chiedete agli ottocentisti…) con quella del contatto pieno, spesso portato senza guardare per il sottile brutale.

Cosa li accomuna? Lo spirito, il senso della sfida e certe radici piantate profondamente nel mondo dei popoli di lingua inglese.

Dal rugby Murray Halberg ebbe un’offesa permanente: a 17 anni, rimasto sotto un mucchio di corpi, una spalla saltò fuori dalla sede, un braccio, il sinistro, rimase paralizzato. “Sarà bene che eviti gli sport di contatto”, dissero i medici all’esile ragazzo che aveva visto la luce nel villaggio di Eketahuna, contea di Wanganui.

Li evitò e dieci anni dopo, a Roma, diventò campione olimpico dei 5000, lo stesso giorno, sospeso tra lo storico e il leggendario per la Nuova Zelanda, del primo dei tre successi olimpici di Peter Snell: era il 2 settembre 1960 e chi venne paragonato a un carro armato Sherman (1,80 per 80, si era mai viso un ottocentista così?) vinse il mezzo miglio.

Anche lui, nativo di Taranaki, veniva inevitabilmente dal rugby.

Anello e ovale, nel senso di pista e di palla, un binomio così solido da aver costruito nelle sue vicende e sviluppi un romanzo storico e lasciato pagine che possono far delirare o commuovere: dipende dagli stati d’animo.

Eric Liddell fa parte del secondo versante: sette volte in campo (con quattro mete) in blu e con il cardo addosso nei 5 Nazioni del ’22 e del ‘23, campione olimpico dei 400 a Parigi 1924 dopo aver rifiutato di correre i 100 (“la domenica è del Signore”) e bronzo nei 200, missionario in Cina per continuare una convinta e solida tradizione di famiglia, scomparso a 43 anni nel campo di concentramento di Chefoo, cinque mesi prima che gli Alleati avessero la meglio sull’Impero giapponese.

Il più grande sportivo di Scozia: non è una valutazione, ma il risultato di un referendum popolare. In certi paesi si vota anche per questi esiti e si finisce per provare invidia.

Una dozzina di anni dopo l‘impresa di Liddell, un giovane principe russo che studia all’università di Cambridge lascia segni importanti negli annali delle 100 yards, ma il cursus atletico di Aleksandr Obolensky dura poco: ingaggiato dall’Inghilterra, il velocissimo aristocratico segna due mete agli All Blacks in una delle rare vittorie della Rosa sulla Felce, l’unica in cui i Neri chiudano a zero: 13-0.

Possono esser ammirate, limpide e pulite, in un vecchio filmato rintracciabile in rete. Al mito del principe contribuisce anche la morte prematura, ai comandi di un Hurricane in volo d’addestramento nei giorni in cui l’Inghilterra si trova solo a fronteggiare la minaccia di Hitler.

Ostacolista e velocista di valore, in gara ai Giochi del Commonwealth del ’70 a Ediimburgo, è Gareth Edwards, nativo di Gwaun Cae Gurwen (i nomi gallesi meritano di essere sempre riportati per il loro fascino poetico) e dal rugby all’atletica è transitato un altro grande del Principato, il rosso Iwan Thomas, campione mondiale, europeo e del Commowealth nei 400 e nella staffetta del miglio, uno dei dodici britannici ad essere scesi – nel suo caso, abbondantemente – sotto la barriera dei 45”.

Il cammino inverso, dall’atletica al rugby, è stato compiuto da Nigel Walker, che dopo aver fallito l’ingresso nella finale olimpica dei 110s a Los Angeles, conquistò la maglia rossa con il dragone.

Rimane da chiedersi dove sarebbe arrivato quel buonanima di Jonah Lomu si fosse dedicato al decathlon: le esperienze giovanili nei 100, lungo, giavellotto e ostacoli facevano intravvedere grandi speranze. Unica incognita, il salto con l’asta: non è facile elevare 120 chili a 4,80 o più. Ma un titano se la sa sempre cavare.

In Italia, a parte qualche divagazione giovanile di Mauro Bergamasco nel disco e di Lorenzo Cittadini nel peso, il legame è sempre e solo avvinto a Marcello Fiasconaro che, al suo arrivo nel paese natio del padre, indossava una maglia a strisce orizzontali bianche e verdi e con quella andò a bruciare il record italiano dei 400 mancando per un pelo la meta del titolo europeo, sconfitto di una breve incollatura da David Jenkins, ex-giocatore di cricket.

Allungata la distanza, March sarebbe diventato il primo della storia a violare il muro degli 1’44” negli 800, sulla stessa pista, quella dell’Arena di Milano, che nel ’39 aveva visto l’incursione nel futuro di Rudolf Harbig.

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