Giuseppina Leone: l’unica finalista olimpica dei 100 metri

Il ricordo dell'unica atleta capace, nella storia delle Olimpiadi, di raggiungere ed anche di andare a podio nella gara più veloce dell'Atletica.

In 125 anni di storia dei Giochi moderni, zero velocisti azzurri nella finale dei 100. Donne avanti, grazie a una signora torinese di 86 anni che ne aveva 21 e 25 quando entrò tra le prime sei (al tempo la finale era più ristretta) e la seconda salì sul podio: Giuseppina Leone.

Del 3 settembre 1960, il giorno di Livio Berruti, si parla molto ed è giusto così. Del 2 settembre si parla molto meno e una ricerca porta a risultati più modesti, perlopiù concentrati sulla prima vittoria di Wilma Rudolph, sulla sua storia di miseria e di riscatto.

Eppure è il giorno di una delle più preziose medaglie olimpiche italiane, conquistate da una concittadina di Livio, di quattro anni e mezzo più anziana, medaglia di bronzo nei 100 alla sua terza finale olimpica. Alla fine dei Giochi romani sarebbero diventate cinque.

La domanda è: come sarebbe trattata oggi dai media, dai media del nostro tempo Giuseppina, la più grande velocista italiana di tutti tempi, l’unica azzurra a esser salita su un podio olimpico? La risposta rimane, per fortuna, nel grembo del tempo passato. Giuseppina/Giusy ricevette le attenzioni semplici e misurate del tempo. Senza isterie.

Segno del destino, era nata nel dicembre del ’34, a Torino, che pochi mesi prima della sua venuta al mondo, aveva dato alla luce i Campionati Europei, al tempo solo maschili.

In quel 2 settembre anticipò l’impresa di Berruti, visse il suo giorno più alto, medaglia di bronzo nei 100, in 11″3, con vento favorevole misurato a 2,7, molto vicina a Dorothy Hyman, britannica, figlia di un minatore dello Yorkshire (il crono elettrico ufficioso riporta 11.43 a 11.48) e davanti alla sovietica Maria Itkina.

Podio olimpico 100 metri femminili Roma 1960 (foto archivio FIDAL)
Podio olimpico 100 metri femminili Roma 1960 (foto archivio FIDAL)

Oro a Wilma Rudolph, ribattezzata la Gazzella, in 11″0 /11″18; in semifinale, poco più di un’ora prima e in procinto di concedersi una dormitina nel segno dei nervi distesi, la ragazza del Tennessee aveva eguagliato in 11″3 il record mondiale, condiviso con l’australiana Shirley Strickland de la Hunty e la russa Vira Krepkina.

Giuseppina era riuscita a seguire quella scia: seconda in 11″6, tre buoni metri davanti all’ucraina co-primatista.

A 25 anni Giuseppina, allenata dal futuro direttore tecnico Marcello Pagani, era alle sua terza Olimpiade: eliminata nei quarti dei 100 a Helsinki (quando aveva meno di 18 anni), quinta sia sui 100 che in staffetta a Melbourne (nei giorni felici di Betty Cuthbert), proprio in quel ’56 aveva firmato il record europeo in 11”4 a Bologna in un appuntamento di fine stagione, quando il record del mondo distava appena un decimo.

Roma fu la sua vetta e il suo passo d’addio: sesta nei 200, dopo una curva troppo coraggiosa in cui aveva tenuto il passo di Rudolph (forse ispirata dal formidabile 23″7 che aveva centrato un mese prima a Belluno), quinta nella 4×100 con Letizia Bertoni, Sandra Valenti e Piera Tizzoni a un secondo appena abbondante dalle Tigerbelles guidate dalla solita, magnifica Wilma, decise che poteva finire lì.

L’amore con Mario Paoletti, buon quattrocentista e dirigente Fiat, ebbe un ruolo determinante nella scelta e nell’addio.

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