Iolanda Balas: il fenicottero di Timisoara

Il ricordo della leggendaria altista rumena rimasta imbattuta per oltre dieci anni

Oltre venti anni fa al Gala di Montecarlo della ex IAAF, ora World Athletics, che venne poco dopo la morte di Primo Nebiolo avvenuta il 7 novembre 1999 (il menù era listato a lutto), ci trovammo (non è un plurale maiestatis) nel tavolo accanto a quello di Fanny Blankers Koen, Al Oerter e Iolanda Balas.

Ci alzammo e chiedemmo il dono di un autografo. Le firme vergate sul cartoncino (seccamente dall’ex-mammina volante, proclamata quella sera Atleta del Secolo, cordialmente dal pokerista del disco, con un lieve sorriso dalla trasvolatrice) equivalgono o direi “contengono” dieci medaglie d’oro olimpiche e una quarantina di record del mondo.

In ordine di tempo, Blankers Koen venne a mancare nel 2004, quando si avviava agli 86 anni, Oerter nel 2007 a 81, Balas nel 2016 non lontana dagli 80. Se è vero che la morte rende più preziose opere e memorabilia, quel cartoncino deve avere un certo valore. In ogni caso, non me ne separerei mai. Il ricordo riaffiora giusto in tempo: oltre sessant’anni fa, tra l’aprile e il luglio del ’61, Balas spiccò i suoi quattro balzi più alti.

Per via delle sue gambe infinite, Iolanda venne battezzata il fenicottero di Timisoara, la sua città natale. Nelle sue vene scorrevano sangue romeno e magiaro per parte di padre.

Prima di venir smembrata con il trattato di pace del 1919, il regno di Ungheria era più del doppio di quella attuale: brani di territorio finirono al regno di Romania e a quello, appena nato, di Jugoslavia. E qualcosa toccò anche a un altro paese che stava emettendo i primi vagiti, la Cecoslovacchia.

Iolanda – o Jolan Balazs – lascia all’atletica un corpus di numeri ineguagliabili: 142 vittorie consecutive, due medaglie d’oro olimpiche, due titoli europei e un’onda lunga di 14 record del mondo, 14 che portarono il limite da 1,75 a un 1,91 che profuma di contemporaneità.

Iolanda Balas (foto archivio)
Iolanda Balas (foto archivio)

Nata il 12 dicembre 1936 a Timisoara, Romania, da madre rumena e padre ungherese, Balas frequentò il liceo cattolico per ragazze, dove le attività sportive erano fortemente incoraggiate.

Il suo talento fu notato dalla campionessa nazionale di pentathlon Luiza Ernst-Lupsa, che era anche una grande saltatrice in lungo e che viveva nello stesso edificio della Balas, e fu così che la giovanissima Iolanda si avviò all’atletica per vincere, a soli 14 anni, il suo primo titolo nazionale.

Monopolizzatrice della seconda metà degli anni Cinquanta e della prima metà dei Sessanta, Iolanda esercitò un dominio che ha pochi eguali, schiacciante: il primo titolo olimpico, a Roma ’60, venne a 1,85, con 14 centimetri di vantaggio sulla seconda, la polacca Jaroslawa Jozwiakowska, dotata di un cognome lungo quasi quanto il distacco che rimediò, al fianco delle altre piazzate, la britannica Dorothy Shirley e la sovietica Galina Dolya.

Quattro anni dopo, a Tokyo, l’australiana Michele Brown riuscì a contenere il distacco in 10 cm: 1,90 a 1,80. Sempre un abisso.

Il primo record del mono di Iolanda, che saltava con una versione perfezionata della vecchia “forbice”, venne il 14 luglio 1956, a Bucarest, con un centimetro di progresso sul limite della britannica Thelma Hopkins.

Quattro mesi dopo, non ancora ventenne, finì quinta nella finale olimpica di Melbourne, colta dall’americana ilare McDaniel con il mondiale portato a 1,76. Fu quella, per Iolanda, l’ultima sconfitta sino all’11 giugno 1967: dieci anni e mezzo con 142 successi di fila. Senza pari.

Nel ’57 Balas, che fu a lungo allenata dal marito Ian Soter, eguagliò il record di McDaniel, se lo vide sfilare per un centimetro dalla cinese Chen Feng-jung, che adottava la scarpetta “ortopedica” che di lì a poco sarebbe stata messa al bando dalla Iaaf: quei sei mesi risultarono l’unica interruzione in quattordici anni di dominio.

Iolanda Balas (foto archivio)
Iolanda Balas (foto archivio)

Dal 7 giugno 1958, quando superò 1,78, divenne la regina incontrastata. 1,80 venne raggiunto due settimane dopo, a Cluj; 1,85 a Bucarest, poco prima dei Giochi romani. Per scalare 1,90 scelse il palcoscenico di Budapest, dando così soddisfazione alla sua “coté” magiara.

La montagna più alta venne scalata a Sofia, il 16 luglio 1961, nel corso del derby Bulgaria-Romania, in fondo alla gara perfetta: 1,60, 1,70, 1,75, 1,80, 1,85, 1,88, 1,91 sempre alla prima prova.

Si resero necessari dieci anni e 50 giorni perché quel record, solido come la Rocca di Gibilterra, cadesse: toccò all’austriaca Ilona Gusenbauer, ventralista, aggiungere un centimetro, la stessa misura che un anno dopo, a Monaco di Baviera, diede la vittoria olimpica alla sedicenne Ulrike Meyfarth, seguace di Dick Fosbury.

La carriera della Balas si è conclusa nel 1967 a causa di un infortunio al tendine d’achille. Si è trasformata in un’insegnante di educazione fisica e si è ritrovata in posizioni manageriali nell’industria dello sport, rivestendo il ruolo di Presidente della Federazione rumena di atletica dal 1991 al 2005, e Vice Presidente del Comitato Olimpico rumeno dal 1998 al 2002.

Credeva nel potere dello sport e nell’investire sulle giovani generazioni. Ha costruito impianti sportivi in Romania che hanno preso il suo nome ed è stata premiata con tutte le più prestigiose onorificenze dello sport rumeno.

Balas credeva anche nel potere dei media e volle dare ampia risonanza agli atleti rumeni al punto da avere contribuito alla nascita della rivista Romanian Athletics.

E’ morta a Bucarest l’11 marzo 2016 all’età di 79 anni, ma il suo ricordo vive ancora attraverso gli atleti rumeni, le strutture che ha creato e l’eredità che ha lasciato come la migliore saltatrice in alto del suo tempo.

Suo figlio, Doru, la descrive come “il sorriso dell’atletica rumena”.

Iolanda Balas (foto archivio)
Iolanda Balas (foto archivio)
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