Usain Bolt l’insuperabile

Le prossime Olimpiadi senza il mito giamaicano

Sono passati poco più di 44 mesi dal 12 agosto 2017, giorno in cui andò in onda, in diretta mondiale, l’ultima sfortunata esibizione agonistica di Usain Bolt, la finale della staffetta 4×100 metri ai mondiali di Londra, nel corso della quale il velocista giamaicano, durante la sua frazione, la quarta, fece una smorfia di dolore a metà rettilineo e cadde a terra dolorante.

Usain, il cui cognome Bolt potrebbe essere l’acronimo di Bello Oltre Limiti Terrestri, ha rappresentato per oltre un decennio l’assoluta icona dell’atletica mondiale ma, ancora oggi, a quasi 4 anni dal suo ritiro ufficiale, avvenuto a neanche 31 anni, riempie sempre i titoli dei media di tutto l’universo per qualsiasi attività lo riguardi, sia sportiva come quando ha provato a fare il giocatore di calcio, che di vita personale.

Per lui, che compirà 35 anni il prossimo 21 agosto, tra le tante vittorie e record che l’hanno reso celebre ai tifosi di qualsiasi sport nel mondo, l’emozione più grande è stata il 18 maggio dell’anno scorso, quando è nata la sua prima figlia, Olympia Lightning.

Era da tanto tempo che desideravo diventare padre e sono molto felice. La nostra piccola è bellissima, vale più di una medaglia d’oro. Mi fa sorridere ed è la cosa più bella del mondo“.

Queste le parole di Usain che ha anche chiarito come, i due nomi dati alla bambina, siano stati scelti dalla madre ma, certo, sono piuttosto impegnativi da portare in quanto non solo vi è il richiamo, nel primo, alle Olimpiadi vinte dal padre ben 8 volte, ma anche il termine saetta che evoca vari concetti accostabili all’atleta.

È stata la mamma a scegliere quei nomi e io le ho detto che così stava spingendo nostra figlia a fare atletica. Ma non sarò io a forzarla: vedremo che cosa succederà, io proverò ad insegnarle le cose giuste e di farla crescere bene“.

D’altra parte a chi gli chiede se abbia mai qualche rimpianto per aver abbandonato la sua carriera relativamente presto e totalmente integro, risponde.

Mi manca l’adrenalina della competizione, la competizione che amavo, correre contro i migliori e trovarmi in uno stadio pieno di gente. Cose che mi facevano venire i brividi ogni volta. Ho sempre trovato bellissimi quei momenti“.

Certamente Usain manca tantissimo a tutti ma forse, la scelta di abbandonare quasi all’apice della carriera, è stata la migliore perché la gente ama ricordare i grandi campioni come degli invincibili e, già la sua sconfitta nella finale dei mondiali del 2017, al di là dell’infortunio nella staffetta, aveva fatto soffrire milioni di tifosi.

Ho sempre sognato di essere nominato assieme ai grandi campioni come Diego Armando Maradona, Pelé, Muhammad Ali e fuoriclasse del genere“.

Queste alcune sue parole estrapolate da un’intervista rilasciata recentemente e proprio al leggendario Alì da Louisville, Kentucky, ci piace accostarlo perché quello che il grande pugile statunitense riusciva a combinare con la lingua, con lo spirito acuto come una lancia, Usain da Trelawny, contea della Giamaica nordoccidentale, lo otteneva con le mani, con gli occhi, con i gesti: sparava, fumava, indicava il cielo, faceva il segno della croce, ammiccava, rideva, ballava, si lisciava e vibrava.

Non è stato allegramente minaccioso, non diceva di aver ferito una pietra, di aver fatto piangere un mattone, non aveva la rabbia e l’ira profonda che appartenevano agli anni dell’impegno dell’immenso e compianto Muhammad.

Usain era l’arciere, la freccia e anche quest’immagine è nel repertorio dei gesti che chissà se avessero un copione, se fossero frutto dell’improvvisazione o di una regia attenta.

Lui, in ogni caso, è stato quello che ha trascinato tutti verso l’entusiasmo con le sue memorabili imprese che rimarranno, per sempre, scolpite nel marmo della storia dell’atletica mondiale.

Al di là dei suoi due record mondiali nei 100 e 200 metri, di 9″58 e 19″19, che molti ritengono praticamente imbattibili, nell’anno delle 32esime Olimpiadi dell’età moderna, non si può non ricordare che queste saranno le prime dall’abbandono di Usain, evento che certamente ha lasciato un vuoto enorme in tutto il movimento internazionale.

Da allora non sono mancate le grande prestazioni, sono stati battuti ben 38 record mondiali in pista e su strada (20 per le donne, 18 per gli uomini) e l’estate si preannuncia bollente con i primi risultati, che arrivano da tutto il mondo, di grande contenuto tecnico.

Negli ultimi 4 anni sono esplosi grandi talenti, primo su tutti il fenomenale saltatore con l’asta Armand Mondo Duplantis, ma certamente anche l’ugandese Joshua Cheptegei, capace di battere i record del mondo nei 5000 e 1000 metri dell’etiope Kenenisa Bekele sui 5000 e 10000 metri, il fenomenale norvegese Karsten Warholm, le due statunitensi specialiste nei 400 ostacoli Dalilah Muhammad e Sydney McLaughlin, giusto per fare alcuni esempi dei grandi fenomeni che si susseguono.

Ma come competere con l’aura, il carisma e la popolarità di Bolt?

A mio avviso è un’impresa quasi impossibile, perché Usain era un atleta unico capace di trascinare le folle di tutto il mondo con le sue imprese in quella che è la gara Regina della Regina degli Sport Olimpici, i 100 metri.

In definitiva Bolt era la tempesta perfetta per l’Atletica Mondiale, un SuperAtleta dal carisma straordinario e, non a caso, il suo sponsor tecnico di sempre gli ha fatto un contratto a vita, per sfruttare all’infinito il suo mito di sportivo.

Ma, ovviamente, anche senza Usain saranno delle grandissime Olimpiadi e sarà veramente interessante conoscere i suoi, o il suo se fosse un unico atleta, successori sul trono delle due specialità da lui dominate nelle tre ultime edizioni, i 100 e 200 metri.

Sotto l’ultimo ricordo agonistico della sua leggendaria carriera.
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