Non lasciatevi ingannare dalle bandierine in sovraimpressione appiccicate accanto all’inglese Maro Itoje, al greco Giannis Antetokounmpo, alla bahrainiana Salwa Naser, al portoghese Francis Obikwelu (nella foto di copertina).
Sono tutti nigeriani. Nati là o altrove, conta niente. Sono i geni, i cromosomi a pesare.
In un bel racconto di Robert Heinlein – “Storia di Farnham” – una serie di esplosioni nucleari e un piegamento nell’asse del tempo portano una famiglia americana in un’epoca (il futuro? un mondo parallelo?) in cui il potere è nelle mani di una superba razza nera.
Heinlein non azzarda siano nigeriani, ma la descrizione che ne fa induce a pensare che abbia pensato a quell’etnia, che in realtà di etnie è una pluralità: 260 per 200 milioni di abitanti. Nel nostro caso, è necessario aggiungere tutti quelli nati, cresciuti o emigrati altrove.
I nigeriani eccellono negli sport di forza e di velocità e in quelli in cui l’una e l’altra si combinano.
Dopo i colossi Usa e Jamaica, è il paese che offre più uomini sino al confine dei 10 secondi netti nei 100: sono dieci, guidati da Olusoti Fasuba, 9″85.
Al consistente elenco va aggiunto Francis Obikwelu, primatista europeo con 9″86 per l’accogliente Portogallo.
Il secondo dei 100 (9.86), Divine Oduduru, della Texas Tech University, è il primo dei 200, 19″73, a un centesimo da Pietro Mennea.
Forti anche le donne: Blessing Okagbare, 10″79, è affacciata sulle prime venti di sempre e Chioma Ajunwa, che dopo un lunga squalifica per doping battè Fiona May un quarto di secolo fa ad Atlanta, ha un primato: medaglia d’oro olimpica e partecipante a una Coppa del Mondo di calcio.
I figli e i nipoti dei nigeriani che lasciarono il paese al tempo della decolonizzazione, e sono nati inglesi, si sono dati da fare nel calcio e hanno fatto la loro comparsa in un mondo che ancora qualche generazione fa avrebbe sollevato le sopracciglia, sino a formare archi a sesto acuto: il rugby.
Chris Oti, Victor Ubogu, Adebayo Adebayo sono i freschi avi del giovanotto destinato ad assumere i gradi di capitano dell’Inghilterra: Maro Itoje è nato nella multirazziale Camden, Londra nord, ha studiato affari internazionali nella sofisticata Bloomsbury, ha saltabeccato, ragazzino, da uno sport all’altro per capire che spingere, contrastare, rubare palloni o catturarli a quattro metri d’altezza costituivano i postulati della sua arte gentilmente predatoria.
In predicato anche per un “capitanato” dei Lions (se il Tour in Sudafrica andrà in scena), Maro incarna da tempo per aspetto, per modi e per cultura (si diletta scrivendo versi) la sintesi di una nuova Inghilterra, che ha definitivamente consegnato agli archivi il passato imperialista e coloniale e che vede lo sviluppo di una nuova borghesia.
Il velocista Chindu Ujah, cresciuto nel bel quartiere di Enfield, è un altro esempio di questa evoluzione e, per radici, può allungare la lista dei nigeriani capaci di correre i 100 sotto i dieci secondi.
Prima di loro, si era guadagnato lo stipendio, da sergente dei Royal Signal Corps, Kriss Akabusi (tre volte sul podio olimpico e campione del mondo della 4×400) che vantava ascendenze reali, e popolarità, per simpatia e per uno sterminato raccolto di titoli e di record.
Che dire poi del decathleta Daley Thompson, magnifico prodotto di sintesi: padre nigeriano e mamma scozzese, venuto al mondo in un quartiere famoso per il carnevale estivo di gusto caribico e diventato di gran moda, Notting Hill.
Molto diversa la storia di Giannis Antetokounmpo – un’approssimativa traduzione dallo yaruba può significare “il re nato all’estero che torna alle origini” – più noto come the Greek Freak, il Mostro Greco, o magari un’edizione XXI secolo dell’uomo vitruviano, o nigeriano se preferite: 2,11 per 110.
Ateniese, apolide senza documenti, giocatore di una squadra di periferia, una breve apparizione a Saragozza prima che il draft gli trovasse una casa che non ha più abbandonato: Milwaukee.
Chi segue l’Nba conosce le cifre di Giannis e così è inutile riportarle: sono sempre in doppia cifra nei tre canoni fondamentali, tiro, assist, rimbalzi, sino alla conquisa della corona individuale assegnata dalla corporazione che governa il basket con profitti strabilianti e popolarità globale.
La Nigeria è ovunque: Salwa Naser, terza della storia nei 400 (e… disinvolta nei controlli a sorpresa), porta per fortuna il nome bahrainizzato (l’originale è Ebelechukwu Agbapuonwu).
I calciatori sono dappertutto, Bundesliga, Italia, Grecia, Turchia, Spagna, Portogallo e da qualche tempo Itoje è stato raggiunto in nazionale da un solido pilone, Beno Obano (Beno è il diminutivo di Ohwobeno Osemudiamen) e nel giro della Rosa sta entrando Paolo Odogwu (padre italo-nigeriano), funambolico ala-centro che punzecchia negli Wasps, notato dal ct Eddie Jones appena prima che prendesse forma un abboccamento azzurro.
La possente e potente razza immaginata da Heinlein è tra noi: l’Impero della Nigeria colpisce sempre e dappertutto.