Paul Tergat l’uomo del fango

L'Atleta per eccellenza delle corse campestri ma anche della pista

Il cross è nelle mie vene”: Paul Tergat simbolo della corsa più spontanea e affascinante, sa regalare con poche parole la migliore immagine, la migliore descrizione di se stesso.

L’uomo dei prati, del fango, degli ostacoli naturali o artificiali, dell’affondo portato al momento giusto, il primo ad aver confezionato la prima striscia di cinque successi consecutivi allungando quella di John Ngugi: l’uomo dal labbro pendulo e tremante aveva centrato un poker a cui, successivamente, avrebbe aggiunto un quinto asso.

Kenenisa Bekele avrebbe uguagliato Paul tra il 2002 e il 2006 e si sarebbe portato in cima alla lista di sempre arrivando a mezza dozzina nel 2008.

Senza la battuta d’arresto di Mombasa, ad opera dell’eritreo Zersenay Tadese, sarebbe arrivato alle “magnifiche sette”.

Dal 2002, quattro paesi diversi del’Africa Orientale – Kenya, Etiopia, Eritrea e Uganda – hanno dominato la prova più affascinante della corsa campestre, il “lungo” e da quando, 1973, il vecchio e leggendario Cross delle Nazioni ha assunto l’etichetta di Iaaf Cross Country, al resto del mondo è stato lasciato poco: in 42 edizioni, quattro vittorie del Belgio, tre del Portogallo, due di Irlanda, Usa e Marocco, una di Finlandia e Scozia.

Paul, 52enne nel prossimo giugno, originario del lago Baringo, Rift Valley, inaugurò la sua era nella dura edizione di Durham, Inghilterra del Nord; da africano trionfò due volte nel suo continente (tra i vigneti di Stellenbosch e sotto il sole di Marrakesh), solcò da protagonista il verde (e posticcio) percorso nel parco del Valentino, a Torino, chiuse la sua lunga “mano” sui prati bagnati e severi dell’università di Belfast.

L’azienda italiana che lo assisteva aveva preparato una maglia celebrativa per quella sua catena di vittorie: l’iniziativa non si rivelò di cattivo augurio.

Spesso, in quegli anni di dominio, l’interrogativo che gli veniva posto era: “Non sarebbe l’ora che il Kenya organizzasse il Mondiale?”.

Immancabilmente il compito Paul rispondeva: “Grazie per la domanda” augurandosi che quel traguardo fosse finalmente raggiunto.

La rassegna approdò finalmente in una delle grandi patrie della corsa – a Mombasa nel 2007, Kenya di costa e non d’altopiano – quando Tergat aveva già riposto le scarpette chiodate nell’archivio delle sue rimembranze più liete.

Ricordato come uno dei più grandi crossisti della storia, Paul ha disseminato la sua vita di gioie e di delusioni, vissute con un sorriso e uno stile inimitabili: è stato il primo a scendere sotto i 26’30 nei 10000 ed è stato anche il primo a violare la barriera delle 2h05’ nella maratona, sullo scorrevole percorso-miniera di Berlino.

L’uno e l’altro dei record del mondo gli vennero sottratti da chi ha saputo trasformarsi in una feroce e sorridente nemesi: Haile Gebrselassie.

Haile Gebrselassie-Paul Tergat (foto archivio world athletics)
Haile Gebrselassie-Paul Tergat (foto archivio world athletics)

Il momento più alto, emozionante, coinvolgente della loro lunga sfida venne a Sydney, la sera del 25 settembre 2000, la stessa dell’apoteosi di Cathy Freeman e della riconciliazione tra Australia aborigena e bianca.

Sin dalla prima mattinata di gare, l’atletica aveva richiamato all’Olimpico, situato nel sobborgo di Auburn, un pubblico formidabile, ma quel giorno ogni record saltò per aria: 112.524 spettatori.

Molti erano ancora storditi, eccitati, dall’impresa della ragazza che emulò il successo wimbledoniano di Evonne Goolagong, ed ebbero l’occasione di partire per la dimensione di un sogno assoluto, fatto di eleganza e spietatezza, costruito su 25 giri che non lasciarono spazio alla monotonia, tantomeno alla noia.

La trama della corsa condusse fatalmente a uno scontro tra i due colossi dell’Africa Orientale: tre kenyani contro due etiopi.

Dopo esser scivolato all’indietro per meglio lanciare il suo assalto, Tergat lanciò la freccia ai 250 metri: non c’era solo l’oro olimpico in palio, ma anche la chance di piegare Gebre sul suo terreno.

Tumulto cardiaco nella curva popolata da kenyani e etiopi, costellata di bandiere con gli scudi masai, con la stella.

Paul, alto ed elegante, aveva fatto breccia, ma Gebre non si era arreso. Il rettilineo volò in un balenare di denti scoperti, di ghigni che assomigliavano a sorrisi.

Gebre ebbe la meglio per 9 centesimi e uno dei più grandi duelli nella storia dello sport finì in un abbraccio sincero.

Haile Gebrselassie-Paul Tergat (foto archivio world athletics)
Haile Gebrselassie-Paul Tergat (foto archivio world athletics)
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