Ricordando Irena Kirszenstein-Szewinska

Oggi sarebbe il 75esimo compleanno della grande velocista e lunghista polacca

Se Fanny Blankers Koen è stata la Mamma Volante, Irena Kirszenstein-Szewinska, che festeggerebbe i 75 anni non fosse stata vinta dal cancro a inizio estate del 2018, ha meritato il titolo di Signora della Corsa, di eroina della Polonia, occupando una parentesi che, dalla metà degli anni Sessanta, l’ha portata a sfiorare gli Ottanta: sette medaglie alle Olimpiadi (tre d’oro), dieci europee (cinque da campionessa), una triplice corona di record mondiali dei 100, 200 e 400 che nessuno mai, prima e dopo, si è sognato di portare in testa, una poliedricità concessa solo alle grandi.

Prima di scrivere molte pagine di magnifica atletica, Irena dagli allungati occhi orientali tra l’azzurro e lo zaffiro aveva sentito scorrere su di sé il pennino della storia: viene alla luce nel ‘46, a Leningrado, in una città stremata da 900 giorni d’assedio.

Il padre, ebreo polacco, e la madre, galiziana, avevano trovato rifugio sulla Neva, minacciati dai violenti passi della Marcia verso Oriente del Reich. Irena era la figlia di una fame che aveva trasformato la città in un inferno di lamenti.

Non è semplice scegliere il filo giusto nel gomitolo delle sue imprese. I 400 di Montreal ’76, con quel record del mondo, 49”28, che profuma forte di contemporaneità, rimangono un caposaldo, un’epopea nel faccia a faccia tra il vecchio e il nuovo: tutto era cominciato in primavera, quando a Dresda la teenager DDR Christina Brehmer aveva demolito il record del mondo in 49”77.

In realtà, il confine dei 50” era già stato violato, proprio da Irena: al Memorial Kusocinsky del giugno ’74 aveva chiuso in 49”9 senza che gli organizzatori della classica di Varsavia avessero approntato un rilevamento elettronico.

L’exploit della 18enne Brehmer mise le ali ai piedi della 30enne Szewinska che, poco più di un mese dopo, il 22 giugno, a Bydgoszcz (che ospitava quell’anno il Memorial in onore del campione olimpico fucilato dai nazisti), ritoccò di due centesimi il fresco record.

Era normale aspettare, per la finale olimpica di Montreal, uno scontro al calor bianco. Non fu così: con un avvio degno del suo passato di duecentista (23”5), Irena lasciò subito molto lontana Christina.

Un intermedio tra i 200 e i 300 sotto i 12” chiuse un’inesistente disfida: Szewinska finì in 49”28 lasciando a 50”51 Brehmer: un secondo e 22 centesimi, un distacco da cronoprologo sui pedali.

Qualcuno ne parlò come il canto del cigno che aveva volato su molte distanze e molto a lungo, e aveva partecipato all’indimenticabile festival messicano di cinquant’anni fa arrendendosi alle americane Wyomia Tyus e Barbara Ferrell sui 100 ma mettendole in fila nei 200.

La grandezza di Irena, membro del Cio, della Iaaf e a lungo presidentessa dell’atletica di Polska, può esser misurata grazie a una collezione preziosa: nessuna o nessuno ha stabilito record del mondo nei 100, 200 e 400, lei sì. Avrebbe anche potuto stringere in mano il poker ma il record della 4×100 venne cancellato quando Ewa Klobukowska non superò il test della femminilità.

I record mondiali sono sette, così come le medaglie olimpiche, in cinque specialità: da giovane, quando gareggiava ancora come signorina Kirszenstein e studiava economia all’università di Varsavia, era anche lunghista di primissimo livello: seconda a Tokyo, dietro a Mary Rand.

Agli Europei di Praga ‘78 fu ancora capace di conquistare il bronzo nei 400 e nella 4×400. Era reduce dal suo ultimo capolavoro: un anno prima, a Dusseldorf, prima Coppa del Mondo, aveva domato ancora una volta le Ddr Barbel Wockel e Marita Koch, dieci anni più giovani.

Chi aveva ambizioni, doveva sempre fare i conti e prendere lezioni da lei, la Signora della Corsa.

Irena Kirszenstein-Szewinska (foto theolympians)
Irena Kirszenstein-Szewinska (foto theolympians)
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