Duplantis la leggenda di soli 21 anni

Un campione immenso per i suoi risultati ma anche amato da tutti per la sua spontaneità

A Zurigo, nella finale di Diamond League, Armand Duplantis scavalcando 6,06 ha vinto la sua venticinquesima gara a 6 metri o più.

Sergei Bubka, in questa speciale graduatoria riservata agli straordinari acrobati dell’atletica è a quota 44, Renaud Lavillenie è già dietro, 19. Lo svedese di Louisiana, che a novembre farà 22 anni, potrebbe battere lo zar di tutte le aste? Si, lo batterà ma l’unicità di Mondo, come tutti lo chiamano da tempo, risiede altrove: lui è amato universalmente.

Sommari flash back sulla stagione post Tokyo. A Parigi, stadio di Charlety (con bis e tris a Bruxelles e al Letzigrund) la confraternita ha messo in scena uno spettacolo commovente e corale.

Gli astisti, artisti che amano sporcarsi le mani, sono stati definiti acrobati, saltimbanchi, poeti, inseguitori del mito del volo, sperimentatori, summa delle qualità fisiche e morali dell’uomo (velocità, forza destrezza, coraggio), esperti nelle problematiche della spedizione del loro ingombrante bagaglio appresso. Un bel cocktail, un bel mosaico, un ricco caleidoscopio.

Tra di loro, così come tra i decathleti, da sempre si aggira e vive uno spirito di genuino cameratismo, un senso di appartenenza a un ordine cavalleresco, a un club di temerari, come quello dei primi piloti, a un gruppo di amici sinceri.

Sui blocchi di partenza, solo occhiate di sfuggita, di sbieco: la velocità è una faccenda rapida e spietata, a nervi scoperti, a sangue freddo.

L’asta è un incruento torneo, una “giostra” che, asta in resta, può andare avanti per ore. Persino lo scioglimento più polemico, il gesto dell’ombrello di Wladislaw Kozakiewicz, venne accompagnato da un sorriso. Diabolico?

Se si fa eccezione per gli occhi freddi e le labbra tirate di Wolfgang Nordwig, è sempre andata così, ma ora qualcosa è cambiato. È finita l’attesa, è arrivato chi, con leggerezza, quasi con noncuranza, ha estratto la spada dalla roccia e la percezione è stata avvertita.

La ricostruzione sommaria, in un sovrapporsi di immagini, del pomeriggio parigino (e delle sue serate che lo hanno seguito) diventa rivelazione finale: Renaud Lavillenie si trasforma in allenatore, convoca Armand Duplantis una, due, tre volte, gli parla di folate di vento, di equilibrio in rincorsa, di correzioni da apportare durante l’ascesa, Sam Kendricks sorveglia la manica a vento e invita il pubblico a ritmare l’applauso.

Ernest Obiena sorride felice quando Armand si congratula per il record filippino elevato a 5,91 (Vitali Pettov continua nella sua magnifica opera), Chris Nilsen incoraggia.

Peccato non ci sia anche Piotr Lisek che lancerebbe urla alla Tarzan se quell’asticella a 6,19 rimanesse sui ritti. Armand è anche pronto a ricambiare: sotto l’acqua di Gateshead, era lui che proteggeva Kendricks con l’ombrello.

Renaud, 13 anni più anziano di Armand, con un’autonomia di volo sempre più ridotta, decide per l’abdicazione finale sfogliando un repertorio così ricco da risultare utile, offre consigli, guarda diritto negli occhi l’Atteso ormai arrivato.

Proprio a lui, a Renaud, era capitato in sorte capire prima degli altri: avvenne in una palestra scolastica, forse del Missouri, quando andò a dare un’occhiata e vide Armand: aveva dodici anni e qualche mese e scalò 3,97, record mondiale di quella categoria ancora vicino alla puerizia, uno dei tanti.

Il volto di Renaud compare all’improvviso, in primo piano, in uno dei filmini amatoriali girati da papà Greg e da mamma Helena, un diario per immagini che prende il via con un Armand di quattro anni, nel giardino di casa, Lafayette, Louisiana.

C’erano echi francesi in quei luoghi e nel nome di quel ragazzino ad attirarlo? O c’era qualcosa d’altro, forse una voce interiore? “Un giorno sarà il mio erede”.

E tutto si è realizzato e ora, prima dei 22 anni, Armand è campione olimpico e chi ne capisce dice che potrà arrivare a 6,30 che è più o meno irreale come l’ormai reale 45″94 di Karsten Warholm.

I segni e il destino dicono che Armand dominerà a lungo, che concederà poche o nulle chances agli altri, ma nessuno riesce ad attingere una goccia di fiele, a distillare un pensiero cattivo.

Dargli una mano significa avere un posto accanto a lui, ed è qualcosa quando si incrocia la strada con chi cammina sulle acque o sale negli azzurri spazi.

Sport OK Junior