Fra le infinite levate di scudi che si registrano da tutte le parti contro la squalifica per doping di Alex Schwazer a 8 anni, dopo l’ormai famosa ordinanza di archiviazione del G.I.P. di Bolzano, che ha deciso di non rinviare a giudizio penale l’atleta per frode sportiva, quel che nessuno fa notare è che provengono solo da fonti che pochissimo hanno a che vedere con lo sport e, in particolare l’Atletica.

Giornali, televisioni, politici, ma il mondo dello sport praticato da Schwazer non si pronuncia, o forse nessuno gli da realmente voce, a parte il Presidente della FIDAL Stefano Mei che, in effetti, sul sito federale si è un po’ esposto a favore del marciatore ma poi, in un’intervista televisiva susseguente, ha mantenuto un atteggiamento di maggiore prudenza.

La realtà è che si tratta di una vicenda molto complessa, di cui bisognerebbe conoscere tutti i passaggi intercorsi negli anni e, ovviamente, andrebbe ascoltata non solo la ricostruzione fatta da Schwazer e dal suo team di difesa.

Ma ormai il marciatore altoatesino è considerato dall’universo mediatico italiano una vittima, ed è diventato una sorta di orgoglio nazionale da difendere in nome della Patria, a prescindere da qualsiasi analisi minimamente approfondita su quanto reamente accaduto in questi anni.

Io, nel mio piccolo e nelle mie modeste conoscenze della vicenda, ho sempre cercato di evidenziare i fatti oggettivi, partendo dal presupposto che nessuno può essere considerato colpevole senza un’assoluta certezza, ma nemmeno innocente e tantomeno un perseguitato senza la stessa identica certezza.

Ora, solo per riassumere nella più estrema sintesi la situazione, ci troviamo di fronte a una persona che ha avuto una prima squalifica per doping di 3 anni e 9 mesi, da un tribunale sportivo, una seconda squalifica per doping di 8 anni, sempre da un tribunale sportivo, e che è stato dichiarato non credibile sia da un tribunale sportivo che penale sul fatto che aveva dichiarato come, due medici e una dirigente federale, fossero a conoscenza della sua prima ammessa assunzione di sostanze dopanti.

A fronte di queste tre situazioni a lui chiaramente sfavorevoli, ne esiste una favorevole, quella dell’ordinanza del Giudice Penale di Bolzano il quale sostiene che, con grande probabilità, l’Atleta non si sia dopato all’atto della seconda squalifica.

Per essere ancora più chiaro, 3 tribunali sportivi e 1 penale si sono pronunciati contro sue azioni o dichiarazioni…1 tribunale penale si è pronunciato a favore.

Si potrebbero scrivere pagine e pagine su tutta la questione, ma ci vorrebbe tempo e competenza in merito per cui sono lieto che, proprio per questa incredibile situazione che si è creata nelle ultime settimane, una persona che veramente si occupa di sport da anni, senza alcun interesse a evidenziare qualcosa che sia minimamente distante dalla realtà oggettiva dei fatti, abbia voluto scrivere un piccolo libro.

Sto parlando di Roberto De Benedittis, romano di 57 anni, di cui 45 passati nel mondo dell’atletica di cui è veramente appassionato ed innamorato.

Roberto è stato Presidente di due società, ACSI Campidoglio (fino al 2013) e ACSI Italia, Direttore Generale di Vivicittà e della Roma-Ostia, ideatore e organizzatore dell’Appia Run, una gara di 14 chilometri che ogni anno ospita oltre 5.000 partecipanti, tra competitivi e no.

Dal 2017 è coordinatore della Rome Half Marathon Via Pacis e ha ideato, promosso e sostenuto numerosi progetti con tanti incarichi portati avanti quale consulente, redattore, addetto stampa di riviste e manifestazioni.

Una persona che non ama esporsi ma ama il suo lavoro e non sopporta le ingiustizie.

Il titolo di questo articolo, in realtà, è il titolo del suo mini book che invito tutti a leggere con la giusta attenzione, ringraziando Roberto per il grande contributo offerto.

Il mini book di Roberto De Benedittis

Roberto De Benedittis (foto archivio)
Roberto De Benedittis (foto archivio)
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